Acciaio e democrazia economica, giustizia per Taranto
Anche se non sembra, l’acciaio è stato un punto centrale nell’incontro del G20 che si è tenuto in Italia lo scorso 30 e 31 ottobre. Il clima disteso da “vacanze romane” ha accompagnato l’accordo tra Usa e Ue per superare la contesa sui dazi imposti dall’ex presidente Trump all’importazione di acciaio e alluminio dall’Europa. Come sempre, la strategia seguita dal nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, è quella di rinsaldare i rapporti con i Paesi alleati in funzione anti cinese. La notizia è un segnale incoraggiante per le imprese del settore siderurgico che in Italia è rappresentato da Federacciai. L’organizzazione associata a Confindustria ha tenuto la sua assemblea annuale lo scorso 6 ottobre alla Fiera di Milano scegliendo un titolo che rappresenta un vero e proprio programma: “L’Acciaio Disegna il Futuro”.
Bisogna far riferimento a quanto emerso in quella sede, dove è intervenuto il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, quale azionista di maggioranza dell’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, per avere un’idea di come intende muoversi il governo guidato da Mario Draghi in grande sintonia con l’associazione degli industriali presieduta da Carlo Bonomi.
L’importanza strategica dell’acciaio per l’intera economia del Paese è uscita rafforzata dalla crisi indotta dalla pandemia. La permanenza di una quota di produzione nazionale appare sempre più necessaria, secondo governo e Confindustria, per non essere esposti alle speculazioni sui prezzi e alle strozzature del commercio internazionale.
Ma di che numeri parliamo? I dati della produzione riferiti al 2020 pongono l’Italia al secondo posto in Europa (20,4 milioni di tonnellate di acciaio) dopo la Germania ( 35,7) ma prima di Francia (11,6) e Gran Bretagna (7,1). Cifre che impallidiscono davanti a quelli della Cina da dove arriva il 56% della produzione mondiale dell’acciaio (1.064 milioni tonnellate l’anno). Seguono, a grande distanza, l’India (100,3), Giappone (88,2), Usa (72,7) e Russia (71.6).
La sfida aperta dei prossimi anni è, quindi, quella della stessa permanenza del settore in Europa, come afferma il presidente di Federacciai Alessandro Banzato, dove la giusta priorità per la sostenibilità ambientale si rivela un ostacolo per la competizione verso gli altri Paesi che non hanno tali priorità. Esistono, inoltre, seri problemi sul costo dell’energia per tutti i settori che ne esigono un grande consumo ma devono rispettare i piani di decarbonizzazione.
Secondo la consulenza del Boston consulting group, richiesta da Confindustria e presentata al governo, occorrono ingenti investimenti per trovare soluzioni adeguate sui singoli distretti ma la linea principale si basa sull’impiego dell’idrogeno, l’elettrificazione dei processi produttivi e la cattura della CO2. Ciò vuol dire realisticamente secondo il ministro Giorgetti che, in attesa dello sviluppo delle fonti rinnovabili e, apertamente, del nucleare di quarta generazione (definito “verde”) bisogna puntare sul gas come “fonte di transizione”. Ciò vuol dire che è strategico investire sull’abbattimento dell’emissione di CO2 tramite il sistema CSS, fortemente sostenuto dall’Eni di Descalzi, che ne prevede la cattura e stoccaggio in grandi cavità sotterranee (come i giacimenti esauriti di metano presenti nel nostro territorio).
Da Federacciai proviene, perciò, la forte richiesta della definizione di un Piano nazionale sull’acciaio che assume una sua credibilità in considerazione del ruolo diretto dello Stato in Acciaierie d’Italia (Ex Ilva) mentre, ad esempio, come ha rivelato Banzato, la stessa organizzazione imprenditoriale non riesce ad avere alcuna interlocuzione con la multinazionale indiana Jindal che ha acquisito il sito siderurgico di Piombino in Toscana.
La discussione pubblica sul piano nazionale della siderurgia in Italia nel contesto internazionale è una delle istanze delle diverse realtà radunate nell’associazione “Giustizia per Taranto” che ha elaborato un piano dettagliato sul futuro della città basato sulla priorità di una politica di bonifica ambientale che riprende buona parte di un progetto elaborato da Confindustria con effetti generativi sulla salute della popolazione e sulla creazione di migliaia di posti di lavoro. La transizione ecologica ha un pesante costo sociale, infatti, se non si prevedono soluzioni alternative concrete e non velleitarie.
Al centro della visione maturata da “Giustizia per Taranto” c’è la convinzione sul ruolo frenante dell’enorme stabilimento siderurgico verso le altre prospettive economiche del territorio. Dalla nuova centralità fisiologica dell’attività portuale al comparto ittico di grande qualità.
Non esiste una chiusura totale verso l’attività industriale ma si richiede che sia compatibile in un quadro complessivo che tenga conto della modalità della produzione di acciaio e la sua distribuzione sui siti italiani. Finora, infatti, nonostante gli evidenti danni ambientali, accertati dalla magistratura, i diversi governi hanno permesso la continuazione dell’attività con decreti d’urgenza dettati dall’importanza strategica del sito industriale dove permane il ciclo integrale dell’acciaio con l’area a caldo, gli altiforni e le conseguenze inevitabili sulla salute dei lavoratori e della popolazione.
I partecipanti all’ultima settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta a Taranto, pur se non hanno visitato il quartiere Tamburi particolarmente esposto agli agenti inquinanti, non potevano non notare la polvere rossa abbondantemente presente sulla circonvallazione stradale nonostante la recente copertura degli enormi parchi minerari richiesti dall’acciaieria.
Nell’intervista audio all’avvocato Leonardo La Porta, dell’associazione Giustizia per Taranto, emerge la ragionevolezza di un confronto sulle linee di politica industriale in Italia. Un’istanza che prende forza, come afferma il giurista, dalla prospettiva aperta dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco verso la conversione ecologica integrale.
D’altra parte, come affermato anche in un incontro promosso da Federacciai con la presenza del professor Carlo Mapelli, neo consigliere di amministrazione di Acciaierie d’Italia, l’acciaio è decisivo per “il nuovo paradigma della polis”: la città del futuro deve avere, secondo tale tesi, le caratteristiche «della flessibilità, dell’armonia, dell’integrazione e dell’inclusività. Insomma, una città in cui ti riconosci e in cui hai voglia di vivere». Parole che vanno comprese bene a partire da piazza Marconi a Taranto dove ha sede l’associazione e da dove partì nel 2017 una grande manifestazione unitaria per chiedere giustizia verso una città che, come altri territori, non deve pagare le scelte che cadono dall’alto.
Lo hanno chiesto in maniera silenziosa e solenne il primo novembre un’altra associazione, quella dei genitori tarantini composta anche da persone che hanno perso i figli per malattie legate all’inquinamento diffuso sul territorio. Si sono radunati davanti al ponte girevole, opera identitaria della città, indossando abiti neri con sopra una fascia bianca ed esponendo uno striscione con la frase espressa dalla dottoressa Annamaria Moschetti durante la settimana sociale dei cattolici italiani: “tutto l’acciaio del mondo non vale la vita di un solo bambino”. A Taranto e in ogni luogo.