Acciaio, accordo Stato e Arcelor Mittal

Il governo sigla un accordo vincolante con la multinazionale franco indiana per investire di nuovo nell’acciaio come asset strategico. Il caso ambientale di Taranto resta aperto
Acciao produzione AP Photo/Jeff Roberson

L’accordo sull’Ilva tra Arcelor Mittal e lo Stato italiano è stato siglato nella notte del 10 dicembre mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte era impegnato nei lavori del Consiglio europeo per definire l’accordo definitivo su #NextGenerationEU e «sbloccare le ingenti risorse destinate all’Italia (209 miliardi)» destinate al piano di ripresa e resilienza che sarà operativo probabilmente entro 2 mesi.

Nella stessa giornata si è consumata anche la protesta dell’amministrazione comunale non solo di Taranto ma anche della Regione, che lamentano la completa esclusione dal processo decisionale di una strategia destinata ad impattare sul territorio. Eppure prima delle ultime elezioni regionali molti esponenti dell’esecutivo hanno presentato l’operazione Ilva, e la nuova partecipazione pubblica, come il punto di svolta della politica ambientale in linea con i dettami del green new deal promosso dall’Unione europea. Il piano annunciato dalla maggioranza del Conte 2 non prevedeva la chiusura dell’acciaieria e l’avvio di un gigantesco piano di riconversione industriale, ma l’introduzione di nuove tecnologie in grado di ridurre notevolmente l’inquinamento ambientale sulla popolazione.

Chi segue in maniera non episodica la vicenda emblematica di questa parte della Puglia non può scordare l’immagine dei bambini stretti intorno al carro funebre del piccolo Vincenzo di 10 anni, residente con la famiglia nel quartiere Tamburi, morto da pochi giorni per tumore in una zona dove, come ha affermato l’Istituto superiore di Sanità esiste un eccesso di neoplasie nella fascia da 0 a 14 anni.

Secondo Alessandro Marescotti, storico rappresentante dell’associazione Peacelink, non ha senso continuare ad investire soldi pubblici nell’industria dell’acciaio dato che il settore appare in evidente crisi per sovrapproduzione ed è destinato ad essere conteso sui mercati da altri soggetti internazionali già dominanti, come la Cina. Il picco produttivo degli 8 milioni di tonnellate, necessario per rendere vantaggiosa la produzione della società, non può essere comunque raggiunto senza provocare un grave impatto inquinante sul territorio, nonostante le migliori tecnologie possibili.

Gli enti locali, a partire dalla Regione fino ai comuni coinvolti oltre quello di Taranto, restano convinti che sia possibile arrivare ad una completa decarbonizzazione della produzione di acciaio ma di fatto non si è aperta alcuna fase consultiva che tenesse conto delle loro proposte.  Alcuni amministratori hanno compiuto il gesto di consegnare per protesta le fasce tricolori dei sindaci al prefetto e sono molto severi i comunicati del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ma, come riporta la direzione italiana della multinazionale franco indiana, l’Arcelor Mittal ha concluso «un accordo vincolante (l’ Accordo di Investimento) con Invitalia, una società controllata dallo Stato italiano, formando una partnership pubblico-privata tra le parti».

In cosa consiste questo accordo? Essenzialmente nell’acquisto da parte di Invitalia di quote crescenti del capitale sociale di “AM InvestCo”, cioè della «società controllata da ArcelorMittal che ha sottoscritto il contratto di affitto con obbligo di acquisto dei rami d’azienda Ilva».

Una volta passati i controlli a livello europeo sulla normativa antitrust, la società pubblica, entro il 31 gennaio 2021, acquisterà il 50% dell’AM InvestCo versando 400 milioni di euro che gli permetteranno un controllo congiunto con Arcelor Mittal. Invitalia si impegna a versare altri 280 milioni di euro entro maggio 2023 per arrivare a controllare il 60% di AminvestCo. Il 40% resterebbe in mano ad Arcelor Mittal che si impegna ad investire 70 milioni di euro.

L’intera operazione è subordinata comunque al “closing” cioè all’effettivo acquisto dell’ex Ilva da parte della società mista pubblica privata che avverrà solo a certe condizioni che lo Stato italiano si impegna a rispettare: «la modifica del piano ambientale esistente per tenere conto delle modifiche del nuovo piano industriale; la revoca di tutti i sequestri penali riguardanti lo stabilimento di Taranto; e l’assenza di misure restrittive – nell’ambito dei procedimento penali in cui Ilva è imputata – nei confronti di AM InvestCo».

Ma proprio lo scioglimento di tutti questi vincoli, stabiliti a tutela della salute pubblica, rappresenta, per le istanze ambientaliste, una sorta di capitolazione da parte del soggetto pubblico che si impegna anche sostenere «una serie di misure di sostegno pubblico tra cui il finanziamento all’occupazione finanziato dal governo».  Un onere legato al numero effettivo dei lavoratori destinati ad andare in cassa integrazione in attesa della realizzazione del piano industriale che prevede «investimenti in tecnologie per la produzione di acciaio a basso utilizzo di carbonio, tra cui la costruzione di un forno ad arco elettrico di 2,5 milioni di tonnellate». L’obiettivo è quello di arrivare alla produzione di 8 milioni di tonnellate d’acciaio a partire dal 2025.

Le nuove tecnologie, secondo il comunicato del governo, ridurranno l’inquinamento «del 93% a regime per l’ossido di zolfo, del 90% per la diossina, del 78% per le polveri sottili e per la CO2». Una riduzione che interesserà un terzo della produzione d’acciaio e quindi secondo Peacelink, «l’inquinamento non diminuirà. Sarà una sommatoria del vecchio inquinamento con il nuovo».

Secondo il portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, si tratta di un accordo «inaccettabile che calpesta la nostra costituzione e porta il Paese in un’oscurità senza fine per i diritti e la tutela della salute dei cittadini».

Oltre le dichiarazioni ufficiali da parte degli amministratori locali non si riscontra, ancora, una reazione pubblica di quella parte della popolazione che a febbraio 2020 era scesa in piazza a Taranto per chiedere di essere liberata dalla presenza inquinante dell’acciaieria.

Per il sindacato l’accordo siglato è un buon segnale perché, come afferma la segreteria della Fiom Cgil, Francesca Re David, «lo Stato rientra nell’ex Ilva, attraverso le partecipazioni statali, e quindi nell’asset strategico della siderurgia». Questa nuova capacità di fare politica industriale va letta come l’occasione di fare dell’ex Ilva il più grande polo produttivo d’acciaio green in Europa, sempre secondo il sindacato che tuttavia lamenta di «essere stato lasciato fuori» dalla trattativa conoscendo i termini dell’accordo solo per titoli. Come sempre l’attenzione è dedicata al mantenimento dell’occupazione. Anche da parte confindustriale l’acciaio rappresenta un settore destinato a crescere con la ripresa della produzione prevista al termine dell’emergenza pandemica.

L’accordo “vincolante” sull’ Ilva rappresenta quindi, al momento, il venir meno di ogni altra ipotesi di riconversione economica alternativa a quella dell’acciaio che pure ha rappresentato l’istanza del M5Stelle, record di voti a Taranto nelle elezioni politiche del 2018. D’altra parte per sostenere un percorso simile a quello seguito da altre città europee, ad esempio la basca Bilbao, sarebbe stato necessario affidare questo obiettivo e le relative risorse alla stessa società pubblica Invitalia, cioè all’Agenzia nazionale per lo sviluppo, di proprietà del Ministero dell’Economia, che ha il compito di puntare «sui settori strategici per lo sviluppo e l’occupazione» ed «è impegnata nel rilancio delle aree di crisi e opera soprattutto nel Mezzogiorno».

 

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