Accendi una luce blu
Quest’anno si celebra l’VIII Giornata Mondiale dell’Autismo, un “pianeta” per molti ancora sconosciuto e di ardua decifrazione anche per la stessa comunità scientifica: ipotesi biologiche, genetiche, farmacologiche, cognitive s’intrecciano, infatti, fino ad arrivare a un puzzle dai tasselli incerti che non ferma però, chiaramente, la voglia d’indagare e le sperimentazioni sul campo.
La ricorrenza del 2 aprile, sancita dall’ONU nel 2007, nasce proprio con l’obiettivo d’informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. Nell’intento di dare massima visibilità all’evento, quest’anno si è pensato di illuminare di blu, il colore dell’autismo, i monumenti. Per la campagna Light it up blu, voluta da Autism Speaks, lo slogan è infatti «Non chiudere la porta alla conoscenza, accendi una luce blu».
Cerchiamo di capirne di più partendo dalla storia.Il primo a coniareil termine “autismo” fu, nel 1943, lo psichiatra infantile Leo Kanner, che ne individuò e descrisse le principali caratteristiche. Nel suo lavoro iniziale, Kanner mise in evidenza anomalie comportamentali di origine neurologica che lo portarono ad ipotizzare un’origine innata ed endogena della sindrome; successivamente concentrò la sua attenzione sulle caratteristiche della personalità dei genitori, considerate come fattori rilevanti per la comparsa e la strutturazione del disturbo.
Uguale interpretazione si ebbe negli anni successivi: la sindrome fu intesa come una condizione psicogenetica, causata da errori educativi o da un difetto delle relazioni familiari e, più specificatamente, della relazione madre-bambino. Tale convinzione ha comprensibilmente gravato a lungo sui genitori, in particolare sulle donne che hanno così vissuto l’esperienza difficile di essere madri di un figlio autistico, insieme ad un pesante senso di colpa, spesso stimolato proprio dagli specialisti addetti alla cura del bambino.
Con l’avanzare degli studi da parte della comunità scientifica internazionale vi è stato un cambiamento di «rotta»: l’autismo, o disturbo dello spettro autistico (Dsa), è stato inquadrato fra idisturbi dello sviluppo, collegato principalmente a fattori di tipo biologico, e non tanto a variabili familiari (quali tratti della personalità dei genitori, metodi educativi e livello socio-economico) o psicosociali (Cfr. Rivista Handicap risposte – Mensile di attualità, cultura e informazione sulle tematiche dell’handicap, n.165/6, 2002).
Il disturbo autistico sembrerebbe, in altre parole, la risultante comportamentale di un dannoorganicoche si verifica entro il terzo anno di età e si manifesta nei bimbi con gravi deficit nelle aree della comunicazione, dell’interazione sociale, dell’immaginazione, e conseguenti problemi di comportamento che rendono particolarmente difficile l’interazione con i bambini affetti. Bambini, in genere, bellissimi, ma chiusi nelle loro “torri d’avorio”; definiti bambini della Luna, per la loro distanza, o bambini pesci, per il loro silenzio.
Un libro, Baci a tutti (pp. 252, 15,90 euro), uscito da pochi giorni per la Sperling & Kupfer, illustra meglio di tanti “discorsoni”l’argomento, perché narra la vita e i pensieri di Andrea Antonello, ragazzo autistico che sa di essere tale. Franco, il suo papà – restìo alle interviste perché vuole che siano le parole e i pensieri del figlio, riportate a suo modo nel testo, a parlare – ha commentato semplicemente: «Questo libro non ha la presunzione di far capire tutto, ma certamente può darci l’idea di cosa pensa un ragazzo autistico. Non entreremo magari per interno nel suo mondo, ma Andrea ci lascerà scostare una tenda per dare almeno una sbirciatina».
Andrea Antonello, una folta chioma di capelli ricci sul capo, vive con il padre a Castelfranco Veneto. È diventato un simbolo per tanti ragazzi autistici da quando qualche anno fa la sua avventura è stata descritta nel best seller Se ti abbraccio non aver paura. Può essere utile guardare i video e le foto della famiglia Antonello in internet: tanti sono i sorrisi e gli abbracci che hanno scambiato con i popoli e le persone di venti nazionalità diverse, durante i lunghi viaggi fatti, in moto, alla ricerca di risposte o del farmaco giusto. Dopo quindici anni, però, papà Franco si è reso conto d’essere al punto di partenza: non ha trovato alcuna soluzione miracolosa. Ha capito però che per aiutare veramente un ragazzo autistico serve più che altro un… amico.
Per questo continua a lottare per ottenere fondi per la ricerca e soprattutto per gli interventi riabilitativi e di inclusione sociale che porta avanti con l’associazione (I bambini delle fate) che ha fondato. Nel frattempo il figlio Andrea, col suo modo semplice e solare d’essere, gli ha cambiato la vita, in meglio. Ed è questa l’esperienza che riportano quasi tutte le persone che hanno un figlio con disabilità: dinanzi a dei limiti oggettivi, si comprende che ciò che conta è l’essenziale. E poiché, come ci ricorda Antoine de Saint-Exupéry nella sua celebre opera Il piccolo principe, «l’essenziale è invisibile agli occhi, non si vede bene che col cuore», ha senso lottare perché quel bene, essenziale ma invisibile ai più, diventi un bene per tutti.
E perché questi ragazzi non siano più visti come dei marziani, ma piuttosto siano incoraggiati a comunicare, a loro modo. Ogni parola, sarà un traguardo. Andrea e il suo papà ne sanno qualcosa.