Accade in Val Formazza

Accade in Val Formazza
Salendo da Baceno, nella piemontese Val d’Ossola, dopo un ultimo fuggevole sguardo alla chiesa che dall’anno Mille sfida uno strapiombo con i suoi affreschi solenni, si gode di un panorama inquietante e affascinante. Arrampicandosi poi nel comune di Formazza, rocce e boschi si alternano in una continua tensione fino alle cascate del fiume Toce. È una fredda tarda mattinata di luglio e lo scroscio delle acque attira alcuni visitatori: lo spettacolo è gestito dalla diga che, invisibile, dietro la montagna, rilascia con l’impeto e l’avviso sonoro, che sa di allarme ai valligiani, le acque trattenute nel placido lago fra le cime. Molti si fermano ad ammirare la maestosità delle cascate e forse pensano di essere giunti alla meta. Ma si sa, la montagna nasconde sempre imprevedibili tesori. Ed ecco, dopo poche curve, la strada sfocia in un angolo vasto e remoto, che sa di passato. Solenne, tace il piccolo villaggio walser, sperduto, nel pianoro, svegliato solo dallo scampanio delle mucche al pascolo. Riale è nascosto agli occhi indiscreti, circondato dalle cime confinante con la Svizzera. È lì dal Settecento, con la sua chiesetta. Poi ecco spuntare un bed & breakfast, anzi due. Paiono deliziosamente sussurrati, perché qui tutto sa invece di lingua walser, come il loro nome, ricomposti nell’assoluto rispetto dell’edilizia antica del popolo che, ottenuti al tempo speciali riconoscimenti, pur che abiti le severe montagne, ha fatto palpitare i pascoli e la mulattiera che unica saliva fin qui, almeno fino agli anni Trenta. Ora a Riale lo stupore non accompagna solo la scoperta di una chiesetta costruita su di un poggio, lì, sotto la grande diga, a ricordo del villaggio sommerso dalle necessità di costruzione della diga e del lago! Sorprende sapere che dal 2003 si sono andate componendo iniziative di ristrutturazione e valorizzazione di quell’angolo, grazie alla tenacia e alla passione di giovani che qui hanno investito forze, sogni e indubbie abilità. Giovani sono anche tutti i gestori dei pur pochi graziosi servizi di accoglienza e di ristorazione, dove i piatti fondono accuratezza, eleganza e rispetto della tipicità della cucina tramandata dalla cultura walser. Achille Della Ferrera oggi è in pensione, ma quassù, fra i 1800 e i 2200 metri, nella corona di poche cime, dove dieci sono i laghi e sei le dighe di sbarramento, ha trascorso gli anni immerso in improbabili estati fiorite, e inverni raccolti sotto metri di neve incontaminata. Achille, custode delle dighe, racconta la sua bella storia d’amore per la sua montagna. Lo fa per due amici di passaggio, partendo dalla sua casa walser di Grovella, dove gli avi dal 1736 hanno domato le nevi e i prati di Formazza: la trave portante della sala grande è lì, intagliata a monito e a grido placido di protezione a Dio, ad indicare la data di inizio di una casata. Come in tutte le case walser. Fede e passione, attaccamento e lotta con l’acqua, che nel 1986 si è portata via tutto ciò che ha potuto. Da quel disastro è nato un desiderio: far rifiorire, uniti, la montagna e i suoi abitanti, soprattutto i giovani. E un progetto concretissimo: dal Veneto alcuni uomini solidali giungono ad aiutare, come si fa spesso in questa Italia, quando accadono tragedie, e in molti si fanno volontari per il fratello colpito, di qualsiasi regione sia! Dall’emergenza si passa alla ricostruzione e l’amico Giovanni Parolin, di Cittadella, con la sua già collaudata esperienza veneta, affianca il sindaco dell’epoca Mario Antonietti e Achille nell’organizzazione di un ardito progetto di promozione economica delle attività agricole e alimentari, fino alla nascita della cooperativa Nuova Formazza. Una novità, appunto, per il territorio, e dalle caratteristiche assolutamente innovative, con stalla all’avanguardia, che per i profani significa mungitura robotizzata (a 1600 metri!), essiccazione ventilata del fieno… e caseificio annesso. Oggi le vacche bruno alpine che pascolano, acrobaticamente abbarbicate sui prati verdissimi, garantiscono il rispetto per la natura e la conservazione di un’antica tradizione: l’allevamento e la lavorazione del latte. E qui, sotto la diga, continua la scoperta del lavoro nascosto e bello di questa gente: sono giovani quelli che affiancano il casaro che lavora le forme del formaggio tipico Bettelmatt. Sono studenti che, più per passione, decidono di trascorrere l’estate così, una specializzazione sul campo per gli studi o un atto di dedizione per la loro terra. I giovani che restano in valle hanno avuto un bell’impulso dalla tenacia cooperativa, ma cresceranno per ottimizzare una risorsa turistica d’eccellenza. L’occhio attento legge questa voglia di rinascere, conservando come tesori memorie e fatiche, con uno slancio al futuro. Intanto nascono i bambini, eredi del popolo walser, per cui preparare tutto questo.
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