Accadde nell’anno senza estate

Due secoli fa nasceva in Svizzera, dalla fantasia visionaria di Mary Shelley, uno dei personaggi letterari più longevi e prolifici, diventato un mito del nostro tempo: Frankenstein
Mary Shelley

Stavolta la meta è Cologny, sobborgo di Ginevra dove, immersa nel verde, una dimora signorile del primo Settecento si affaccia sul lago Lemano, versante nord: è Villa Diodati, già Villa Belle Rive, nel cui salotto immaginiamo di trasferirci la sera del 16 giugno 1816. Da giorni imperversa il maltempo, e gli ospiti venuti qui a villeggiare con numerosa servitù – i due chiacchierati poeti romantici Lord Byron e Percy Bysshe Shelley, l’uno con il suo medico e segretario John Polidori, l’altro con la compagna e futura moglie Mary Wollstonecraft Godwin – cercano d’ingannare il tempo conversando sull’immortalità dell’anima e la corruzione della carne e leggendo un’antologia tedesca di racconti di fantasmi. Quando ai compagni, suggestionati da questa lettura, Lord Byron propone di scrivere ognuno un racconto dell’orrore da leggere nelle serate successive, tutti rispondono entusiasti all’insolita sfida e si mettono all’opera.

Nascono così due dei più inquietanti personaggi della cosiddetta letteratura gotica: il vampiro uscito dalla penna di Polidori, che ispirerà a Bram Stoker il suo conte Dracula, e – partorita dalla fantasia della diciottenne Mary, memore degli esperimenti scientifici di Galvani – la Creatura assemblata con membra di cadaveri alla quale lo scienziato Victor Frankenstein, sfidando le leggi divine, è riuscito a dar vita con l’elettricità, salvo poi a ripudiarla per l’orrore di aver generato un mostro. Ha origine qui il mito del “Prometeo moderno” – sottotitolo del racconto divenuto poi romanzo nel 1818 –, mito destinato ad enorme successo, come testimonia tuttora il proliferare in letteratura e sullo schermo di storie dove l’occulto, il soprannaturale, il mistero trionfano con il loro corredo di fantasmi, vampiri, licantropi, maghi, streghe e altri mostri.

Come romanzo Frankenstein incontrò immediato successo, ma probabilmente non avrebbe prodotto un effetto così a lunga durata senza la cassa di risonanza di alcuni fortunati adattamenti teatrali, ai quali si ispirarono le prime trasposizioni sul grande schermo: soprattutto quella del 1931 per la regia di James Whale con uno straordinario Boris Karloff nei panni e nella maschera tragica del mostro, versione rimasta insuperata fra le oltre cento successive.

A questo punto la Creatura aveva già assunto presso il pubblico il nome del suo stesso creatore: dire infatti Frankenstein evoca in chiunque non l’ambizioso scienziato che avendo osato eguagliarsi a Dio fu punito per la sua empietà (tale era l’intento ammonitore della Shelley), ma il mostruoso gigante dal cranio segato, con cicatrici su tutto il corpo e la pelle cadaverica, che non aveva chiesto di venire al mondo e in quanto portatore di una “diversità” intollerabile dal consorzio umano reagiva uccidendo: personaggio tragico nel suo insaziato bisogno di affetto, destinato nella saga di film che lo ha protagonista a ripetute morti e rinascite per sempre nuove criminali imprese.

Neppure la vita della sua autrice fu facile, considerati i lutti che la segnarono: il doppio suicidio della sorellastra Fanny e della prima moglie di sir Percy annegatasi con il bambino avuto da un amante; la morte in tenera età dei due figli avuti dopo il matrimonio col poeta e quella prematura dello stesso Shelley, annegatosi durante una gita in barca tra La Spezia e Genova… Tragica fu anche la fine di Polidori, suicidatosi nel 1821, e tre anni dopo quella di Lord Byron, morto a Missolungi combattendo per la libertà della Grecia. Sopravvissuta a tutti, prima di morire lei pure nel 1851, Mary scrisse altri romanzi tra cui l’apocalittico L’ultimo uomo ambientato tra il 2000 e il 2073, in cui descrive umani regrediti allo stato ferino per aver tradito sé stessi col percorrere le vie dell’orgoglio e dell’ingiustizia. Curò inoltre la pubblicazione degli scritti del marito.

Nel bicentenario del suo cupo capolavoro, vanno segnalati due testi che l’approfondiscono sotto varie visuali. Edito da Carocci, Frankenstein. Il mito tra scienza e immaginario ha come autori Marco Ciardi e Pier Luigi Gaspa, uno storico della scienza e della tecnica e uno studioso della cultura di massa, i quali ricostruiscono lo sfondo culturale che fece da sfondo al romanzo, con particolare attenzione alle teorie scientifiche dell’epoca, per poi narrare genesi e sviluppo del mito di Frankenstein fra teatro, cinema, televisione e fumetti. La loro conclusione: «Creature e invenzioni tecnologiche non possono mai essere realmente mostruose. Mostruose, semmai, possono diventare le modalità con cui si arriva a creare e, soprattutto, la mancanza di un’assunzione di responsabilità nei confronti di ciò che siamo stati capaci di realizzare. Questa, forse, è una delle lezioni più significative di Frankenstein».

A sua volta Lady Frankenstein e l’orrenda progenie, a cura di Anna Maria Crispino e Silvia Neonato (Iacobelli editore), mette a fuoco la figura del genio femminile che, anticipando le nostre paure, contribuì a dar vita al nuovo genere della fantascienza. Dotata di una mente straordinariamente attiva e avida di conoscenza, Mary Shelley spaziò nelle letture più disparate in diverse lingue e con partecipazione seguì il dibattito scientifico e le vicende politiche dell’epoca. Dai suoi anticonformisti genitori assunse i princìpi di eguaglianza e libertà, la difesa dei diritti umani dei più deboli. Sostenitrice dell’amore libero, seguì il poeta Shelley nei suoi vagabondaggi in Europa e anche dopo il matrimonio ne tollerò le infedeltà. Della sua creazione così parla Giovanna Pezzuoli, autrice di uno dei saggi contenuti nel volume: «Il circolo vizioso della violenza, la diversità come stigma, l’inquietudine generata da una tecnologia separata dall’etica ovvero il confine tra scienza e manipolazione, la paura della morte accanto al desiderio di immortalità continuano a suscitare domande irrisolte e attualissime, incredibilmente incarnate in quel mostro plasmato dall’incubo di una ragazza, duecento anni fa».

Ritornando a quel 1816 origine di tutto, passato alla storia come l’”anno senza estate” non solo in Svizzera, pochi conoscono la causa di quelle condizioni meteorologiche così infelici. Essa va cercata in Indonesia, dove l’eruzione del vulcano Tambora, nell’aprile 1815, aveva proiettato nella stratosfera una quantità di ceneri tale da far schermo ai raggi solari e determinare negli anni successivi, in parte del globo, estati mancate e inverni freddissimi. Frankenstein “figlio” del vulcano?

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