Aborto, parliamone davvero
“La 194 non si tocca!”. Un ritornello che in questi 40 anni dalla sua approvazione viene ripetuto ogni volta che, per un motivo o per un altro, qualcuno osa anche solo parlare del dettato di questa legge che, dal 1978, regolamenta in Italia la possibilità di abortire per le donne che lo scelgono.
Questa volta l’occasione è l’approvazione di una mozione presentata dalla maggioranza di centrodestra al Consiglio Comunale di Verona (con il sì convinto anche della capogruppo del Pd) che prevede lo stanziamento di fondi da destinare ad associazioni e iniziative di sostegno alle donne in gravidanza che, di fronte alla possibilità di abortire, chiedano aiuto in vista della risoluzione dei problemi, economici, relazionali e/o sociali che le spingerebbero in quella direzione.
Tra i progetti presentati c’è “Culla segreta”, che consente di lasciare un neonato in una struttura ospedaliera dove possa immediatamente essere accudito e da cui poi verrà dato in adozione. E il “Progetto Gemma”, una iniziativa attiva sul territorio italiano da più di 20 anni, promosso dal Movimento per la Vita, che stanzia di 160 euro al mese per 18 mesi alle mamme che, avendo pensato di ricorrere all’aborto per problemi economici, grazie a questo contributo economico cambiano idea e accolgono il figlio.
Questi i motivi concreti che hanno fatto strappare le vesti ai difensori della 194, che hanno intravisto in queste proposte un attacco alla libertà delle donne; come anche ai dirigenti e a molte deputate del Pd che hanno accusato di “tradimento” la collega di partito, chiedendone a gran voce le dimissioni.
Ancora una volta un’occasione persa di riuscire ad affrontare la questione dell’aborto fuori da chiusure identitarie, piuttosto che nella sua oggettività: l’aborto non è mai un bene, le donne spesso lo vivono come una necessità, ma non c’è niente di bello né di liberatorio in questa esperienza, anzi per la maggior parte di loro rimane un nodo, un dolore sordo che farà da sottofondo ai loro giorni per il resto della vita.
La solitudine della scelta alla quale le donne sono sottoposte, infatti, è un arma a doppio taglio: se da un lato permette l’autodeterminazione, dall’altro impedisce uno spazio di serena valutazione che potrebbe essere garantito attraverso un ascolto professionalmente competente, ma soprattutto caldo e disponibile, che non voglia indurre o imporre scelte contrarie alla volontà libera dell’interessata, ma le assicuri sostegno, comprensione e aiuto in caso di dubbi o di difficoltà superabili.
La legge 194 che definisce le “Norme per la tutela sociale della maternità” e della “interruzione volontaria della gravidanza” consente il ricorso all’aborto, in un quadro più generale di riconoscimento del “valore sociale della maternità e tutela della vita umana dal suo inizio” e prevede che, durante l’iter decisionale, la donna abbia un tempo di sette giorni (art. 5) in cui “soprassedere” alla sua intenzione. Così come prevede (all’articolo 2) che “i consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.
La mozione veronese, quindi non fa altro che porre le basi per un’applicazione più approfondita di una legge dello Stato. Se si potesse discutere fuori da derive strumentali si potrebbe anche parlare della legge 405/1975 che istituisce i Consultori familiari, prevedendone 1 ogni 20mila abitanti e ponendoli come dei presidi socio-sanitari sui territori, davvero vicini alle esigenze delle donne e delle famiglie.
Dopo più di 40 anni e svariati tagli alla sanità ci si trova, invece, di fronte a strutture con diffusione di 1 a fronte di oltre 100mila abitanti, totalmente depotenziate, ridotte a uffici vaccinazione e ambulatori ginecologici, impossibilitati, nonostante l’impegno e la passione di tanti operatori, a svolgere tutta l’attività di prevenzione della salute della donna e del bambino per i quali erano nati, riducendo la prevenzione agli aspetti sanitari al pap test, alla distribuzione delle pillole del giorno dopo e ai certificati autorizzativi degli aborti… un vero fallimento.
Erigere ogni volta gli steccati di 40 anni fa, di qualunque colore essi siano, è deleterio, strumentale, falsamente a favore delle donne. Sembra spesso un copione che alcuni politici debbono recitare per strizzare l’occhio a questa o quella categoria di elettori da fidelizzare.
È opportuno a questo punto citare uno stralcio della “Lettera aperta” che la nuova presidente del Movimento per la Vita italiano, Marina Casini, ha indirizzato alla capogruppo del Pd veronese Carla Padovani per esprimerle solidarietà e richiamare la necessità di un dialogo sull’esempio di alcuni politici che già durante la discussione sulla 194 lo avevano sperimentato, in particolare Giorgio La Pira e Giovanni Berlinguer, consapevoli che un argomento così delicato avrebbe necessitato di spazi e tempi di verifica.
Nella lettera è riportato un brano della dichiarazione finale di voto fatta da Berlinguer come relatore della maggioranza favorevole alla legge: «Sarebbe assai utile e opportuno un impegno di tutti i gruppi promotori a riesaminare, dopo un congruo periodo di applicazione, le esperienze positive e negative di questa legge […]. Dovremmo riesaminare le esperienze pratiche, le acquisizioni scientifiche e giuridiche e assicurare da parte di tutti i gruppi parlamentari l’impegno di introdurre nella legge le necessarie modifiche […]. Ciò può garantire che vi sia, successivamente alla approvazione della legge, un lavoro comune sia nell’applicazione che nella revisione del testo. Dobbiamo ripartire continuamente dall’idea che il problema, per la sua complessità e delicatezza, richiede da parte di ciascuno di noi un alto senso di responsabilità, e anche una profonda capacità di rivedere ciascuno alla luce delle esperienze, idee e concetti che sembrano ora acquisiti e quasi cristallizzati».
Un auspicio purtroppo completamente disatteso e ben denunciato in un editoriale di Giuliano Ferrara che lucidamente stigmatizza l’atteggiamento del Pd: «Un altro insulto all’idea di un partito in cui convivano in dialettica e in conflitto posizioni diverse su temi etici sensibili e un regalo insperato alla Lega e ad altri che vogliono fare di queste battaglie uno strumento di ideologia tradizionalista a fini di consenso politico. È più di un delitto. È un tragico errore».
Una ragionevole consapevolezza della necessità di darsi spazi di dialogo quando in gioco ci sono decisioni drammatiche per la vita dei cittadini.