Abolire le armi nucleari, non è più tempo di retorica
Il primo anniversario dell’entrata del trattato di abolizione delle armi nucleari del 2017 cade alla vigilia del voto sul Quirinale in Italia mentre in Europa la crisi dei rapporti tra Usa e Russia porta gli osservatori più consapevoli a temere la possibilità di uno scontro economico e militare sul confine ucraino. Il casus belli, cioè l’occasione che può dar fuoco alle polveri, può sfuggire alle paziente tessitura diplomatica con il risultato di un coinvolgimento diretto del nostro Paese in forza della sua fedeltà al patto atlantico.
La scelta del presidente della Repubblica non può essere slegata dall’orientamento che il possibile candidato esprime sul ruolo dell’Italia sullo scenario internazionale. In ragione della sua storia, ad esempio, Roma potrebbe essere la capofila di un’azione mondiale per prendere sul serio l’appello moderatissimo e ragionevole dei premi Nobel che chiedono una leggera diminuzione delle spese in armamenti da trasformare in investimenti contro la miseria e la pandemia. Nei fatti, secondo le stime dell’Osservatorio Mil€x si prevede, dati di bilancio alla mano, che «per l’anno 2022 la spesa militare da parte del ministero della Difesa italiano sfiorerà i 26 miliardi di euro (25.935 milioni per la precisione) con una crescita di 1.352 milioni di euro +5,4% rispetto al 2021». D’altra parte la linea strategica seguita è stata apertamente indicata dal presidente del consiglio Mario Draghi nella conferenza stampa del 29 settembre 2021 con parole inequivocabili: «bisognerà spendere molto di più nella difesa di quanto fatto finora».
La flebile attenzione del dibattito politico sulla crisi in atto sul confine ucraino, dove sono presenti e attivi i cacciabombardieri italiani, trascura il ruolo che il Quirinale deve esercitare come espressione della sovranità nazionale. A prescindere dalle ricostruzioni postume sulla decisione riluttante dell’Italia di farsi coinvolgere nel disastroso conflitto in Libia nel 2011, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fu onestamente molto esplicito nel 2016 quando affermò che «dare l’illusione che non ci sia nel futuro la possibilità di interventi militari sarebbe come ingannare l’opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi».
Per restare ai possibili candidati è importante rammentare la posizione di Giuliano Amato, attualmente giudice costituzionale, circa l’interpretazione del ripudio della guerra espresso nell’articolo 11 della Costituzione in polemica con il giurista Danilo Zolo.
Rappresenta, perciò, un fatto in controtendenza l’appello rilanciato da un gran numero di associazioni cattoliche a favore dell’adesione dell’Italia al trattato che bandisce le armi nucleari citando Primo Mazzolari «Abbiamo bisogno di giustizia sociale, non di atomiche».
Come ha titolato Avvenire cogliendo il nocciolo della questione, in sostanza si chiede al nostro Paese di “rompere il fronte Nato” partecipando «come Stato osservatore alla prima Conferenza degli Stati Parti del TPNW che si svolgerà a Vienna nel marzo 2022». È quanto sostiene la campagna di pressione “Italia ripensaci” che fa parte di Ican, la coalizione Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari alla quale è stato riconosciuto il premio Nobel per la pace nel 2017.
Una significativa mobilitazione civile per la ratifica del trattato è presente sul territorio bresciano con il coinvolgimento diretto di molte amministrazioni comunali. Una consapevolezza sollecitata dalla presenza delle bombe nucleari nel territorio e precisamente nella base dell’aeroporto di Ghedi. Non si tratta ovviamente di una vicenda locale dato che l’innesco di un conflitto nucleare non si limiterebbe a Brescia o Aviano (Pordenone), altra base con armi nucleari.
Secondo le simulazioni dell’Università di Princeton l’intera Europa scomparirebbe nei minuti seguenti allo sferrare del primo colpo. Come afferma il professor Alessandro Pascolini intervistato da cittanuova.it, «lo spiegamento di migliaia di bombe tra Nato e Russia rende insignificante militarmente qualche decina di ordigni presenti nelle basi in Italia. Nel caso malaugurato, poi, di un vero conflitto nucleare esse sarebbero, tra l’altro, immediatamente eliminate dai missili russi».
Pascolini, autorità in materia di armi nucleari e tra l’altro molto critico sul trattato del 2017, afferma realisticamente che l’unico motivo per cui le bombe rimangono in Italia, «come è scritto nei documenti ufficiali della Nato, è per rafforzare la cooperazione e l’unità tra i Paesi dell’Alleanza. Una scelta di natura politica, non motivata a livello strategico, tanto che gli stessi americani avevano ipotizzato la rimozione di tali armi nel 2010. Operazione non andata a buon fine per la forte opposizione dei Paesi baltici, nuovi membri della Nato».
La pretesa, perciò, di associazioni e movimenti cattolici di affrontare la questione rimossa delle armi nucleari rappresenta una novità reale se sarà capace di spostare il dibattito socialee e politico sulla minaccia di strumenti di morte che in questo momento, come conferma il bollettino degli scienziati americani, sono assai vicini alla possibilità di condurre la Terra verso la propria autodistruzione.
Per questo motivo sarà decisivo il momento di confronto e approfondimento proposto per il 26 febbraio 2022. Lo stesso giorno in cui a Firenze si terrà la Conferenza internazionale dei Sindaci del Mediterraneo e l’incontro della Cei su “Mediterraneo frontiera di pace” con esplicito riferimento alla lezione di Giorgio La Pira.
In un intervento del 13 agosto 1975 recuperato solo di recente, La Pira si rivolgeva così ai giovani di un campo scuola di formazione: «Tutti i problemi, politici, culturali, spirituali, sono tutti legati a questa frontiera dell’Apocalisse. O finisce tutto, o comincia tutto. O eliminare l’atomica o saremo tutti quanti eliminati globalmente, in un contesto atomico».
Non è più, non lo è mai stato, il tempo di fare retorica.