Abbracciare i nuovi orizzonti
Carissime religiose,
ci troviamo oggi qui per celebrare una data che oserei definire “storica”, almeno per noi. Una data commemorativa e senz’altro festosa.
Si tratta del XXV anniversario della prima approvazione, il 14 aprile 1971, che la Chiesa ha dato alle religiose di far parte dell’Opera di Maria, come “Religiose aderenti del Movimento dei Focolari”.
Questa, che fu una vera grazia per l’Opera e per quante religiose vi avrebbero aderito, ci fu donata dal Signore, attraverso Paolo VI, il Papa che sarà proclamato santo.
Egli lo poteva e l’ha voluto fare, perché conosceva a fondo il nostro Movimento e soprattutto la sua spiritualità, tutta incentrata sul Testamento di Gesù.
Capiva – e lo disse – che una simile spiritualità, ben compresa, poteva – parole sue – “ricostruire la Chiesa dalle fondamenta”. Per questo, anziché lasciarsi turbare da dubbi sulla possibile “doppia appartenenza”, come qualcuno può erroneamente pensare, incoraggiava le religiose a seguirla, come aveva fatto del resto con persone di ogni vocazione.
Questo grande Pontefice offriva perciò a tutte le religiose del mondo la possibilità di abbeverarsi ad un nuovo carisma della Chiesa, mandato in terra dallo Spirito, per attuare cose nuove: il carisma dell’unità.
L’attuale giornata s’intitola: “Abbracciare i nuovi orizzonti”.
Certamente anche il mondo delle persone a Dio consacrate non può rimanere ripiegato su norme, progetti, attività non all’altezza dei tempi. Anche le religiose, proprio perché creature particolarmente predilette da Dio, devono ascoltare lo Spirito, che parla in ogni tempo alla sua Chiesa e devono adeguarvisi.
Chiesa-comunione
E l’oggi della Chiesa, che ci chiama ad incamminarci verso il Terzo millennio, vuole che noi diamo il nostro contributo al disegno che Dio ha su di essa.
Ma qual è questo disegno e quali, quindi, i nuovi orizzonti che il Signore ci indica?
Essi sono senz’altro espressi in quel colossale avvenimento che è stato il Concilio Vaticano II.
E sono: tentare di dare una soluzione alla povertà, in cui annega grande parte dell’umanità;
il problema della unificazione dei cristiani;
il rapporto, che possiamo e dobbiamo tenere, con i fedeli di altre Grandi Religioni;
la considerazione, che occorre avere, per quei milioni di uomini e donne di culture diverse, che non riconoscono nessuna religione.
Sono tematiche vaste queste, che pesano sulla Chiesa e su ciascun cristiano.
E come è possibile sentirne adeguatamente tutta la responsabilità, affrontarle e dare il proprio contributo?
C’è una via previa, importantissima, sicura, che va messa alla base di ogni attività, mirata a risolvere questi scopi.
È dare atto alla preoccupazione fondamentale del Concilio Vaticano II che vede, vuole ed esige la Chiesa come “comunione”.
È con tale ideale realizzato, che si avranno i mezzi per soccorrere chi è nel bisogno. La “comunione”, infatti, esige il “dare”, al quale segue il “ricevere” -“Date e vi sarà dato…” (Lc 6,38) – e si potranno avere così beni in abbondanza per poter aiutare chi è povero.
È una Chiesa che vive la “comunione”, che avrà la forza e la luce per attuarla anche con fratelli di altre Chiese.
Ed è una Chiesa, che realizza l’unità, che testimonierà la Verità a coloro che la conoscono poco o nulla.
La Chiesa, dunque, “comunione”: “Chiesa-comunione” per essere idonei ai vasti orizzonti che ci stanno dinanzi.
Nella storia della Chiesa
La “comunione”. È una novità questa?
Non è un’assoluta novità, anche se va riannunciata e vissuta con maggiore e rinnovato impegno.
Così, infatti, Gesù ha pensato la Chiesa, quando ha dato come legge del Popolo di Dio il Comandamento Nuovo; o quando l’ha dipinta in quel super-divino affresco, che è la sua preghiera dell’unità, ove chiede al Padre che il rapporto dei fedeli con Dio e fra loro rispecchi quello della SS. Trinità: “Io in loro e Tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17, 23).
Che la Chiesa sia “comunione” lo ha detto e lo ha ripetuto san Paolo, quando ha parlato della Chiesa come di un corpo compatto le cui membra sono legate dall’amore. “Al di sopra di tutto – sono sue parole – vi sia la carità, che è vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo” (Col 3, 14-15).
Vivevano la Chiesa come “comunione” i primi cristiani, che erano un cuor solo e un’anima sola, sì da arrivare alla piena comunione spirituale e materiale.
Esigevano questa “comunione” i Padri della Chiesa.
Cipriano diceva: “Cristo… ci ha prescritto di essere d’un solo cuore e di un’anima sola, ci ha raccomandato di conservare integri e inviolati i legami dell’amore e della carità”1.
E diceva Agostino: “Come dai singoli chicchi, raccolti insieme e per così dire mescolati fra loro nell’impasto, si forma un pane, così mediante l’armonia dell’amore si forma un corpo di Cristo”2.
E menzionando l’Eucaristia, che è vincolo di unità, Cirillo di Alessandria affermava: “Tutti noi siamo, dunque, un solo essere nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo. Un solo essere per la nostra comunione con la carne santa di Cristo… Divisi in qualche modo in personalità ben distinte, siamo fusi però in un solo corpo nel Cristo…”3.
Nel Magistero
E impressionanti a questo riguardo sono le parole del Magistero.
L’insegnamento della Chiesa molte volte si è soffermato a parlare di “Chiesa-comunione” e proprio parlando dei religiosi e delle religiose. Anzi, la Chiesa vede nella loro vita, nei loro monasteri e nei conventi, un “segno” di come deve essere l’intera Chiesa proprio in quanto “comunione”. Scorge, nel loro modo di vivere, una realizzazione di questa “comunione”, quasi l’ideale della Chiesa realizzato.
Scegliendo fior da fiore eccone qualche brano.
“Le prime comunità monastiche hanno guardato alla comunità dei discepoli, che seguivano Gesù, ed a quella di Gerusalemme, come a un ideale di vita. Come la Chiesa nascente, avendo un cuor solo e un’anima sola, i monaci… si sono proposti di vivere la radicale comunione dei beni materiali e spirituali e l’unità instaurata da Cristo…
Nei secoli seguenti sono sorte molteplici forme di comunità… La storia della vita consacrata testimonia modalità differenti di vivere l’unica comunione secondo la natura dei singoli istituti…
Tuttavia – continua il documento – nella varietà delle sue forme, la vita fraterna in comune è sempre apparsa come una radicalizzazione (un vivere radicalmente il) del comune spirito fraterno che unisce tutti i cristiani”4.
E ancora:
“Le famiglie religiose… hanno la missione di essere segni particolarmente leggibili della intima comunione, che anima e costituisce la Chiesa, e di essere sostegno per la realizzazione del piano di Dio”5.
Noi diremmo: per l’“ut omnes unum sint” (Gv 17, 21).
In un altro documento l’identico contenuto:
“Esperti di comunione, i religiosi sono chiamati ad essere nella Chiesa comunità ecclesiale e, nel mondo, testimoni e artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio”6.
E ancora:
“Vita consacrata è segno di quello che la Chiesa è nel suo mistero. Nella Chiesa-comunione, a immagine della Trinità, la vita consacrata si presenta come richiamo profetico visibile della comunione che tutta la Chiesa deve vivere già da ora e nello stesso tempo come mèta definitiva”7.
Poi altri concetti.
“La realizzazione dei religiosi e delle religiose passa attraverso la loro comunità”8.
“La comunità religiosa è il luogo ove avviene il quotidiano paziente passaggio dall’io al noi”9.
Tornando ora alla Chiesa intera come “comunione”, anche molti teologi contemporanei sono convinti che la Chiesa ha da essere così.
Per fare un esempio, O. Casel afferma: “L’unità dei fedeli è il segno dell’autenticità del cristianesimo. Dove c’è questa unità, là c’è la vera Chiesa che noi nel ‘Credo’ confessiamo quale ‘una, sancta Ecclesia’”10.
In Giovanni Paolo II
Nella lettera Ut unum sint, a carattere ecumenico, il santo Padre Giovanni Paolo II insegna:
“Credere in Cristo significa volere l’unità; volere l’unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa volere la comunione”.
E il Papa precisa: “Dio è comunione; è comunione perché è amore, ed essendo amore non può non essere comunione. Noi portiamo nelle nostre radici – nella vita… come cristiani – questa realtà di Dio che è ‘comunione’… Così nasce la Chiesa”11.
Veramente la Chiesa è “comunione”. E in essa i religiosi e le religiose lo devono essere in modo del tutto particolare.
Il Concilio ha chiesto anche alle Famiglie religiose un rinnovamento. E molte, se non tutte, l’hanno attuato.
Ma in che cosa realmente consiste il rinnovamento dei e delle religiose?
Lo dice ancora Giovanni Paolo II:
“Tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna. Più ancora, il rinnovamento attuale nella Chiesa e nella vita religiosa è caratterizzato da una ricerca di comunione e di comunità”12.
E, se questa è la volontà di Dio per loro, si comprende allora quale potrà essere il miglior contributo che potranno dare: anzitutto essere e perfezionare questa comunione fra loro stessi e poi irradiarla nel mondo come fari.
Una provvidenziale coincidenza
Ma a questo punto sembra utile fare una considerazione.
Loro conoscono come il nostro Movimento offra proprio, a tutti quanti vi fanno parte, una spiritualità di comunione.
Ora, non è un fatto meraviglioso e soprannaturale questa coincidenza fra ciò che loro, religiose della nostra amata Chiesa, devono vivere e la spiritualità cui possono attingere?
E non è straordinaria la coincidenza fra ciò che è la chiamata oggi della Chiesa (alla comunione) e ciò che lo Spirito vuole con il carisma dell’unità?
Forse non ci si rende, del tutto, conto della bellezza, dello splendore, dell’opportunità e della necessità di questa nostra vocazione all’unità!
E, per questo, noi che da più tempo siamo nel Movimento, non abbiamo a volte sfruttato a sufficienza il talento che possediamo, la grazia di cui siamo stati arricchiti e della quale in questi giorni dobbiamo renderci profondamente consci: “Mia madre, la Chiesa, ha oggi particolarmente bisogno di essere e di presentarsi al mondo come comunione. E noi abbiamo proprio ciò che le può essere utile per essere e manifestarsi sempre più se stessa, sempre più bella, sempre più Una”.
Le “Religiose aderenti al Movimento dei focolari” devono riconsiderare questo anzitutto nelle loro comunità.
Devono poi vivere con accresciuta coscienza la spiritualità di comunione, che offre loro l’Opera di Maria, e lasciarla travasare, quasi per osmosi, nel tessuto della Chiesa che le circonda.
NOTE
1 Cipriano, Liber De Unitate Ecclesiae, XIV (PL 4,526B. 527A).
2 Agostino, Sermones post Maurinos reperti, ed Morin (1930), 462 ss.; cit. in O. Casel, Il mistero dell’Ecclesia, Città Nuova, Roma 1965, p. 426).
3 Cirillo di Alessandria, In Johannis Ev. 11.11; 17,20-21; PG 74, 560-561; cit. in Unità e carismi, 2 (1992) 13.
4 CIVCSVA (Congregazione degli Istituti di Vita Consacrata e di Società di Vita Apostolica), Congregavit nos in unum Christi amor (1994), 10.
5 Ibid.
6 SCRIS (Sacra Congregazione per i Religiosi e Istituti Secolari), Religiosi e promozione umana (1978), 24.
7 Instrumentum laboris, 57; cf. Esortazione apostolica Vita consecrata, 14, 29, 41.
8 CIVCSVA (Congregazione degli Istituti di Vita Consacrata e di Società di Vita Apostolica), Congregavit nos in unum Christi amor (1994), 25.
9 Ibid., 39.
10 O. Casel, Il mistero dell’Ecclesia, Città Nuova, Roma 1965, p. 149.
11 In L’Osservatore Romano, 4.3.1990.
12 Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della CIVCSVA, in L’Osservatore Romano, 21.11.1992.