Papa e movimenti popolari, dov’è la politica?
L’incontro “Arena di pace” che si è svolto a Verona, per chi legge le cose dal punto di vista della politica, contiene anche un forte segnale del Santo Padre ai governi: non siete in questo momento l’interlocutore adatto ad ottenere la pace, è necessario un forte movimento popolare, come ben riportato in altro servizio di Città Nuova.
Dopo essersi recato di persona alla Ambasciata russa ed aver inviato il cardinale Zuppi dai principali interlocutori internazionali, da Verona arriva un appello ai popoli: mobilitarsi per la pace, essere costruttori di pace.
Certamente la politica deve farsi provocare da questi movimenti, aprendo l’ascolto ad una visione profetica, andando a declinarlo in un lavoro politico e diplomatico quotidiano che non è semplice, dovendo continuare a farsi carico della tutela della comunità di cittadini che le hanno affidato il governo.
È indubbio che l’attuale situazione di stallo in cui non si vuole un conflitto diretto con la Russia, si forniscono armi all’Ucraina auspicando una vittoria e una riconquista dei territori le cui probabilità appaiono minime, non appare del tutto soddisfacente.
Per contro, fare concessioni territoriali alla Russia che si considera un impero e, nella propria visione, sta andando a riprendersi quello che le è stato tolto, potrebbe non essere una buona idea.
In primo luogo perché, se la tattica dell’invasione funziona anche parzialmente, presto potrebbe toccare ad altri territori, Paesi baltici e Moldova in primis. Inoltre potrebbe scatenare un effetto emulazione con altri regimi non propriamente democratici tentati dalla sistemazione di questioni territoriali: Taiwan, il Kurdistan, l’Armenia, per fare qualche esempio.
Tra queste due soluzioni insufficienti c’è lo spazio della politica, dove non vanno sottovalutati due aspetti chiave. Intanto il confronto tra democrazie e Stati totalitari, che sarà una costante dei prossimi anni, quindi difendere e migliorare le istituzioni democratiche e la libertà, alle quali i popoli spesso aspirano. Ed anche la leva commerciale, ad esempio sulla Cina che è un attore fondamentale: sensibilizzare consumatori e imprenditori sul fatto che l’acquisto del manufatto di un regime non democratico, anche se più economico, ha un costo sociale e geopolitico da considerare.
Anche dalla politica e dalla diplomazia può arrivare una provocazione da raccogliere ai movimenti popolari di Verona: isolare gli estremismi, l’idea che per cercare la pace si debba essere “anti” qualcuno o qualcosa – gli Stati Uniti, Israele, il capitalismo, i produttori di armi. A volte anche proteste motivate sfociano in un odio che è assai lontano dalla pace, che si trova con dialogo ed alleanze anche impensate: se Apple, magari spinta dai consumatori, ritirasse la produzione dalla Cina, per fare un esempio, smuoverebbe più o meno di un corteo?