A Venezia è di scena la pietà

Pieta, Spring Breakers, Bella addormentata: sono tra i film più acclamati e controversi che fanno discutere pubblico e critica al festival. Premio Bresson a Ken Loach
bellocchio sorvillo festival di venezia

Pieta – senza accento, e non è casuale – è il 18° film del sudcoreano Kim Ki-duk. Autore mai superficiale, indagatore della psiche umana e del nostro mondo che osserva da uno sguardo dall’alto ma anche, se si può dire, da ogni lato.
Questa volta è la storia di un giovane che a nome degli usurai infierisce senza pietà sulle sue vittime: una umanità di poveri non priva di sentimenti come è invece il giovane, che vive chiuso nell’egocentrismo e nel culto del denaro. Ma la vita gli riserva una sorpresa. Una donna ignota lo segue, gli si dichiara come sua madre nonostante egli infierisca anche su di lei – durissima la scena dello stupro –, pure gli immette nel cuore inaridito l’amore e il ragazzo si trasforma. Cambia, ma nessuno gli crede. Un senso di pietà, ovvero di com-passione per una umanità vittima del denaro e dei sentimenti più primitivi, come la vendetta, guida il film crudele, ma colmo di lacrime non versate, fino alla conclusione di morte su cui aleggia un cristiano Agnus Dei. Racconto disperato sul bisogno di amore in una società che ad esso non crede, pur non potendo farne a meno, Pieta – la mancanza di accento universalizza il nome che richiama la scultura michelangiolesca – mostra la crudeltà della vita con un occhio compassionevole sulle sventure umane. Merita certo un premio.

Pietà per il dolore dei vinti della vita nella tragedia familiare, ad inquadratura fissa come se si recitasse sopra un palcoscenico, che il portoghese Manoel de Oliveira, 104 anni, inscena in O Gebo e a Sombra, esempio di cinema d’autore dove tutto è scabro e perciò altamente espressivo.

Ed è un viaggio, un pellegrinaggio nel deserto della propria terra percorsa dalle armate napoleoniche – viaggio fisico e metaforico dell’umanità dolorosa di ieri e di oggi – in Linhas de Welligton, filmone in costume di Valeria Sarmiento (una delle registe presenti in mostra). Più decorativo che profondo, più descrittivo che intenso, il racconto si snoda per quadri grazie ad una fotografia notevole e ad una malinconia di fondo che non riesce a trasmettere un senso di gioia anche nella vittoria, ma ancora una volta di compartecipazione dolorosa alle vittime della guerra, inutile come sempre.

Viaggiano pure le quattro liceali durante le vacanze di primavera in Florida in Spring Breakers di Harmony Corine. Il mondo delle adolescenti americane che usano le vacanze per stordirsi di sesso, alcol e droga, finendo a trescare con un sordido pusher interpretato da James Franco, è reso con uno stile da videogame che piacerà tanto ai giovani, eccessivo al punto di miscelare i tempi della storia con assoluta indifferenza alla logica della trama – esigua –, inverosimile, e stordire lo spettatore con un ritmo forsennato. Che però sa di amara verità sull’illusione giovanile per il divertimento e il denaro. Anche se il film descrive più che raccontare, preferendo uno stile frenetico di pura emotività.

Medesima superficialità in un film italiano, Acciaio, di Stefano Mordini, vicenda di una famiglia tra le acciaierie di Piombino. Il film non convince, perché tratteggia personaggi  lievi che nemmeno Michele Riondino riesce a rendere del tutto in questa che più che altro è una storia di formazione adolescenziale. Peccato.

E finiamo con il film osannato da parecchia critica, cioè Bella addormenta di Marco Bellocchio. Lo sfondo è la nota vicenda Englaro, da cui emergono o meglio su cui si snodano storie diverse di personaggi e situazioni, specchio di differenti modalità di affrontare la vita e il dolore. C’è il politico Toni Servillo che ha staccato la spina alla moglie ed è in lotta con la propria coscienza, c’è la ragazza cattolica esaltata (Alba Rorhwacher), l’attrice convertita con figlia in coma (Isabelle Huppert), il medico leale (Pier Giorgio Bellocchio) che impedisce il suicidio della tossica Maya Sansa, e il giovane sinistrorso Riondino con un fratello nevrotico.

Il film, per quanto non dichiaratamente ideologico, certo costringe a prendere posizione sul tema del fine-vita (in conferenza stampa il povero cardinal Martini è stato ancora strumentalizzato). Emerge una morale laica di rispetto della libertà di coscienza, anche se (involontariamente?) Bellocchio non si risparmia la solita presentazione dei cattolici fanatici stile anni Cinquanta.
Ma è il grande tema dell’amore a correre in superficie lungo il (talvolta logorroico) film, un amore dai risvolti e dalle conclusioni diverse, ma che resta dalla parte del dolore umano e dell’amore per la vita. Anche per quella – ed è una novità nel nostro cinema – di chi fa politica.

Cinema e religione
Ken Loach non è certo un cattolico però il suo interesse per l’uomo trova eco rispettosa nel Premio Bresson che l’Ente dello Spettacolo gli ha concesso martedì 4 alla presenza del patriarca veneziano. Insomma, si dialoga.

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