A tutto Lonquich
Concertista tedesco di chiara fama fin dal 1977, vincitore di premi internazionali, Alexander Lonquich è ospite abituale della romana Accademia Santa Cecilia. Dove ritornerà a novembre, dal 16 novembre al 2 dicembre, per quattro concerti in omaggio a Glenn Gould.
Lo scorso weekend si è presentato nella veste, ormai non più una novità, di direttore-pianista. Programma tradizionale, con il "Triplo Concerto" di Beethoven e il Mendelsshon della sinfonia “Italiana” e dell’ouverture “La bella Melusina”.
In Beethoven ha brillato il violoncello di Luigi Piovano insieme al violino di Carlo Maria Parazzoli, virtuosi esemplari per finezza, incisività e armonia. Lonquich ha diretto e accompagnato al piano. Quando suona, il suo tocco personalissimo, forte, chiaro, molto virile è sempre affascinante. In questo gigantesco "Concerto", Beethoven ha una girandola di idee, non le sviluppa, le accumula una dietro l’altra quasi a dar sfogo a una fantasia gioiosa e vogliosa di vivere. Gran bella musica con l’orchestra delicata.
Come direttore, onestamente, Lonquich fa pensare. Per quanto preciso, dettagliato, in perenne moto tra la tastiera e la bacchetta, dà l’impressione di qualcosa di “troppo”. Quante volte abbiamo ascoltato la sinfonia "Italiana", per cui aspettarsi da Lonquich nuove rivelazioni – come da altri, beninteso – è arduo. Quello che sembra sia stato carente in questa esecuzione è la visione d’insieme: Lonquich cura i dettagli, le sezioni, con chiarezza, ma l’insieme risulta un po’ opaco, nel primo tempo; migliora nel secondo, ma poi qualcosa sfugge nell’ultimo perché il suono si fa troppo secco, con scarsa luce. Peccato, perché Mendelsshon è autore di luce come pochi. Necessità di qualche prova in più, o la bacchetta non è detto che vada bene per tutti i grandi solisti? Chissà. Tanti applausi, la musica è bella e tutti ci hanno messo passione.