A tu per tu con la morte

La moglie…i figli…L’incontro con i propri familiari dopo la morte. Il bisogno della riconciliazione. Una pagina de Niente è vero senza amore, di Michele Zanzucchi
Niente è vero senza amore_Zanzucchi_2015

Un dettaglio di quella notte tragica non fu tuttavia pre­visto da Felice. Lentamente al cospetto del morto maturò in effetti una sorta di “solidarietà arrabbiata”: la bella fi­lippina ce l’aveva con lui perché era morto troppo presto; la figlia perché non l’aveva ancora inserita appieno nel la­voro; la ex moglie perché l’aveva costretta a quell’ultima commedia; gli amici perché gli aveva rovinato quel fine settimana di Ferragosto. Motivi futili, paragonati a una morte, eppure reali, come ancore gettate a mare per evita­re la deriva dei sentimenti. Quell’insolita connivenza evitò la bagarre, il tutti contro tutti.

Il medico giunse solo all’alba con la sua ormai inutile valigetta. Costatò l’avvenuto decesso e redasse il certifica­to di morte con formule fredde come quel cadavere.

Malgrado la ferrea guardia della bella filippina, ognu­no dei presenti riuscì a isolarsi in un momento o nell’altro con quel che restava di Felice. «Vita e destino», avreb­be scritto Vassilij Grossman. Poche lacrime e brandelli di preghiera, l’unica forma di comunicazione col defunto che restava loro, nonostante fosse accompagnata in ognu­no di loro dal dubbio sulla loro efficacia. Se Dio fosse esistito avrebbe permesso quella morte? Perché aveva concentrato in quell’uomo tante debolezze? E come mai, malgrado tutto, quell’essere umano per certi versi sprege­vole aveva attirato l’amore di tante donne?

Quei momenti di intimità Felice li aveva immaginati prima che l’ictus mortale terminasse il suo lavoro. Me­more del suo indefettibile rifiuto di trattenersi al cospetto di un cadavere, persino quello della madre, immaginava quanto quei momenti potessero essere autentici. Non si può barare con un morto, né ingannare la propria co­scienza dinanzi all’irrimediabile finitezza umana.

Immaginò pure che la sua insolita assenza di reazioni emotive – reagiva sempre impulsivamente – avrebbe tra­smesso ai suoi la pressante richiesta di perdono. Ricordò con nostalgia il Padre nostro, recitato cinquant’anni pri­ma: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Avrebbe voluto far capire a Virginia che, nonostante le angherie impostele, la “sua” donna era sempre lei. Alla bella filippina, invece, avrebbe consiglia­to di rifarsi una vita. La figlia avrebbe sperato di metterla in guardia contro il proprio carattere, così simile al suo, altalenante e ingannatore.

Il loro perdono Felice in realtà non lo ottenne subito, inutile dirlo. Quello divino, invece sì. L’uomo deve passa­re per i meandri del risentimento e per la sedimentazione dei sentimenti. Non Dio.

 

Da Michele Zanzucchi, NIENTE E' VERO SENZA AMORE (Città Nuova, 2015)

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