A Trieste la Traviata “degli specchi”
È ancora possibile assistere, fino al 1 aprile, alla rappresentazione del capolavoro verdiano nella città adriatica. Anche questa volta, dopo innumerevoli ascolti, c’è da scoprire qualcosa di nuovo. Un regista acuto come Henning Brockhaus, la ripresa delle scene di Josef Svoboda con quegli specchi giganteschi che riportano in platea sentimenti, emozioni, chiasso e solitudine, ossia “l’aria” dell’opera, l’allestimento spostato da metà Ottocento al fin de siècle, con le donne e gli uomini ritratti da Giovanni Boldini, sono degli ingredienti – e una lezione – che non lasciano indifferenti.
La Traviata questa volta appare la storia di una donna moderna che ama davvero il piacere, gestire gli uomini, ma poi ha un colpo di fulmine e si arrischia verso l’amore vero, quello romantico – ma, in fondo, autentico – che dà la vita per l’amato. Anche se questi è un Alfredo giovanottone impacciato ed egoista, con un padre bigotto e conformista, e di fatto tortura la povera Violetta. Ma Brockhaus fa leva invece sul tema della sincerità: Violetta è sincera, Alfredo pure e Germont soffre di dover far patire la donna.
Gianluigi Gelmetti dirige un’orchestra che canta benissimo – mirabili i due preludi –, vuole accompagnamenti leggeri nelle scene di conversazione, il valzer lento e triste di “Parigi, o cara” suona davvero malinconicamente sfuggente, come la vita di Violetta, l’"Addio del passato" – eseguito per fortuna intero, ed è una scoperta – singhiozzante, e gli ottoni giganteggiano nei finali come in una vera – perché lo è – tragedia.
Sul palco ci si muove e si canta con disinvoltura e correttezza – il coro sempre ottimo –, l’orchestra canta dietro ad una musica che costa lacrime e sangue, come ha ben capito Jessica Nuccio, attrice e cantante dal timbro molto bello, dalla tecnica impeccabile (dovrebbe solo approfondire le note gravi): una rivelazione, insieme al cast, il bravo tenore lituano Merunas Vitulskis e lo splendido baritono ucraino Vitaliy Bilyy, perfetto in Verdi come lo sarà in Bellini e Donizetti.
Una finezza strumentale, una tristezza dolce, una passionalità pronta al sacrificio è quanto si avverte nello spettacolo triestino. Peccato che non venga fatto conoscere a tutti.