A Treviso: arte tra le braccia

Bisogna prendere il treno e venire a Treviso per entrare nella magia di un mondo irripetibile. Centoquaranta capolavori dell'impressionismo commentati da Marco Goldin, curatore della mostra presso l'ex convento di santa Caterina. Ma l'offerta del territorio è molto più ampia
arte a Treviso

Talora basta una scintilla, e nascono progetti a lungo termine. Marco Goldin, trevigiano doc, da vent’anni si occupa di mostre d’arte. Con un’idea semplice e vincente. Far conoscere la bellezza di cui l’uomo è capace a più persone possibili. Certo, ci vuole lavoro, tenacia, anche sofferenza, ma ogni ideale, se possiede un carica convinta, è destinato al successo.

 

Così a Treviso, città ordinata e pulita di case affrescate e canali, ha raccontato una intera storia dell’arte.

E’ così perché nell’ex convento di Santa Caterina, dove gli affreschi delle storie di sant’Orsola di Tommaso da Modena – un Trecento urbano festoso – sono alleati nella pinacoteca con i dipinti di Lotto, Tiziano, Bassano, Canaletto, Tiepolo e tanti altri: la storia della pittura veneta dal Trecento al Settecento.

 

Ma poi- e qui c’è la mostra, appena aperta – si fa un balzo in avanti. Ed è Impressionismo.  Una delle grandi, documentate e fruibili rassegne su questo fenomeno mai viste in Italia.

Di fatto sono quattro mostre.

 

Infatti Goldin comincia a raccontarci i primordi, ossia partendo da Tiziano Rubens e Rembrandt, prestati da Edimburgo.

Tre capolavori: la Venere di Tiziano, splendida ragazza emergente dal mare; il Banchetto di Erode, melodramma barocco di Rubens; Una donna nel letto, immagine del realismo di Rembradt. Tre donne, tre stili, tutto con una pennellata densa, fluente. Gli Impressionisti l’hanno imparata bene, nessuno escluso.

Sono le premesse per arrivare a metà Ottocento appunto alla grande  stagione della pittura en plein air.

140 opere tra tele foto disegni.

 

Bisogna prendere il treno e venire a Treviso per entrare nella magia di un mondo irripetibile, molto noto ma poco conosciuto. Qui c’è la storia, raccontata in diverse sezioni, ed è continuare il viaggio iniziato nel Trecento con Tommaso da Modena. Oraci si allarga all’Europa, ed oltre, fino a noi, oggi.

 

Ecco la scoperta della natura, quando al Salon parigino vibrava l’arte accademica rivolta al passato. Con Gustave Courbet si entra nel quotidiano delle “Figure sotto il cielo”. Millet  ritrae  le Boscaiole e il Seminatore, Courbet un picnic di ragazze tra i  campi: colori terrosi il primo, primavera nel secondo. Ma tocca a Manet entrare nel paesaggio, trarre sulla tela i colpi del vento nel Volo delle rondini e poi raggiungere  Monet nell’incanto della sua  casa ad Argenteuil : qui ride la primavera più bella nella pittura del secolo.

 

L’arte europea è ormai segnata dalla poesia della natura.  Non è un idillio, ma i l canto alla vita che tutto muove e nella quale noi uomini siamo inseriti, ma non protagonisti. Ci si stupisce della natura e dei suoi fenomeni- come succedeva nel ‘500 a Giorgione – e van Gogh lo dice con i suoi Cipressi a tinte carnose, tanto che quasi escono dalla tela.

Anche in un vaso di fiori c’è da meravigliarsi, come avevano già notato Caravaggio e i secentisti.

 

 

Così il Cestino di Manet è un colpo d’occhio rapido sulle cose belle in sè,  il bouquet di van Gogh è un inno ai fiori. Accanto, dialoga con La cincia su un ramo di ciliegio fiorito del giapponese Utagawa Hiroshige (1837), che  cinquant’anni prima aveva scoperto la delicatezza di un ramo e di un uccello posato su di esso in primavera, con tratti finissimi. Accostamento indovinato: all’arte aggressiva di Vincent risponde l’anima sensibilissima  dell’Oriente. Potremmo dire che l’Europa è concretezza, l’Oriente è astrazione, la prima solidità, il secondo contemplazione. Ma entrambi sono innamorati della natura.

C’è infatti un amore immenso.

 

E’ interessante che nella rassegna non si dialoghi solo fra artisti, ma tra forme d’arte. La grande onda, fotografia di Gustave Le Gray, del 1857, ad esempio, colloquia con la marina di Hiroshige- flutti arricciati nello spazio – e il fiume in montagna di Courbet.

Ma l’Ottocento volge alla fine, il mondo sta cambiando. Il Paesaggio con covoni di van Gogh è ormai espressionistico, le Ninfee di Monet aprono all’astrazione e Il bosco di Cézanne al cubismo. La natura viene colta nella sua essenza da questi tre grandi, ridotta a puro colore, a forme viventi come larve o come blocchi. Finita anche la stagione dei ritratti vitali di Renoir e di Gauguin, ciascuno uno sguardo dell’anima, gentile e misterioso.

 

Ci si apre- un’altra mostra – al secondo Novecento italiano, quello da Guttuso a Vedova a Schifano. Passeggiamo ancora, non siamo sazi di bellezza. Piero Guccione, siciliano e mediterraneo, canta Il tramonto. Poesia lirica struggente, cielo e mare fusi in unità, nebbia azzurrina che crea l’aria dell’incantamento. Nel ‘900 non solo arte aspra, aggressiva, ma c’è anche il tempo della contemplazione, della visione: l’infinito, caro ai mediterranei, si fa presenza.

 

E l o si ricerca nell’ultima rassegna – De Pictura – dedicata a dodici artisti contemporanei. Tutta da scoprire, perché ogni opera è un mondo, un percorso che parte dalle radici antiche del giottesco Tommaso per arrivare sino a noi e procedere in avanti.

E’ davvero una storia dell’arte ciò che Goldin, anche nei suoi cataloghi Linea d’ombra,  ci propone sino al 17 aprile. Non una mostra, ma un viaggio, una scoperta, un riposo. Alla fine, l’arte ce l’abbiamo tra le braccia.

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