A Spoleto Adriana Asti in due solitudini di donna

A misurarsi con questo breve scritto del drammaturgo francese Jean Cocteau, assunto più volte a oggetto di riscrittura e adattamento e banco di prova per grandi attrici di varie generazioni, è la nostra versatile ottantenne Adriana Asti, ancora in splendida forma, diretta dal regista del cinema francese Benoît Jacquot
Teatro La voce umana con Adriana Asti

La storia è semplice, come "semplice" è la sua protagonista, che cerca, attraverso un’ultima conversazione telefonica, di salvare il ricordo dell’amore per l’uomo che la sta abbandonando. Anche se il testo, in fondo, non è così eccelso, chi l’ha visto nell’indimenticabile trasposizione cinematografica con Anna Magnani diretta da Roberto Rossellini, non può non averlo nella memoria.

Monologo di culto, datato 1930, della drammaturgia del Novecento, La voce umana, di Jean Cocteau dice lo strazio di un sentimento affidandolo ad una lunga telefonata dove la voce, la parola, è la vera protagonista in scena. Si dipana tra frasi mozze, silenzi interlocutori, esitazioni, restituendo al pubblico anche il richiamo di qualcuno che non appare, di cui possiamo solo intuire le risposte. Una semplice telefonata, dalla forte tensione poetica, in cui si sancisce la fine di un amore col dolore e lo strazio di un abbandono mai urlato, ma contenuto.

A misurarsi ora con questo breve scritto del drammaturgo francese, assunto più volte a oggetto di riscrittura e adattamento e banco di prova per grandi attrici di varie generazioni, è la nostra versatile ottantenne Adriana Asti, ancora in splendida forma, diretta dal regista del cinema francese Benoît Jacquot, che per la prima volta si accosta al teatro. Sviluppando una partitura emotiva con una gamma di stati d'animo espressi senza particolari variazioni nevrotiche, fingendo leggerezza per trattenere lo strazio, l’attrice distilla le emozioni di una donna disperata che si muove all’interno di una stanza, stazionando dalla poltrona al tradizionale letto indicato da Cocteau, agganciata al filo di quel telefono che la tiene in vita.

Scendendo in platea l’attrice lascia il tempo ad un breve cambio di scena – una stanza dominata da un armadio-parete e da una grande finestra dalla quale salgono suoni di strada -, per poi risalire e dare corpo ad un’altra variante dell’amore finito: Il bell’indifferente, altro monologo femminile di Cocteau, qui con accanto alla donna la presenza di una figura maschile taciturna e distaccata.

Con uno stile meno compassionevole e dai toni più vivaci e ironici, la pièce concepita dall’autore per Edith Piaf (e per l'attore, suo compagno, Paul Meurisse, celebre per il modo distaccato di recitare, quasi indifferente), è un dramma dominato dalla solitudine della protagonista, una cantante attrice che con la sua storia di un amore sfibrato dall'abitudine diventa simbolo della condizione della donna di fronte all'indifferenza del mondo (e degli uomini), incarnato da Emile, l'amante, per tutto il tempo sdraiato intento a leggere un giornale, incurante delle parole della donna. Anche qui c'è l'impatto con il dolore per una perdita, il senso del vuoto interiore, la fatica di subire la scelta dell'altro.

Al Festival dei 2 Mondi di Spoleto. In tournée nella stagione invernale.

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