A spasso con Giacometti

Alla Galleria Borghese a Roma i bronzi allampanati e tormentati dell'artista svizzero dialogano con l'arte del passato nello splendido scenario della villa principesca. È l'incontro tra modi diversi di essere uomo. Una rassegna superlativa, da non perdere
Lo scultore Alberto Giacometti

Apre il 5 febbraio alla Galleria Borghese a Roma una di quelle mostre che non è superfluo definire “storiche”. Perché far passeggiare i bronzi di Alberto Giacometti fra Bernini e Canova, Raffaello e Tiziano, Caravaggio e la statuaria classica, sgusciando fra i pavimenti barocchi voluti dal cardinale Scipione Borghese, non è cosa di tutti i giorni.

Eppure l’effetto è mirabile e i bronzi allampanati di Giacometti ci stanno benissimo dentro la villa principesca, così come ci stavano bene a suo tempo, cioè nel 2009, i Bacon accostati a Caravaggio. C’è infatti continuità e corrispondenza di “sensi artistici” fra l’arte del passato e il Novecento tormentato di Giacometti, svizzero che ha visitato e amato intensamente l’arte italiana.

40 opere sparse fra  sale e salette non sono poche, e c’è voluta la tenacia della direttrice della Borghese, Anna Coliva, a metterle insieme, collaborando col massimo studioso dell’artista, Christian Klemm. Dunque, Giacometti  va a spasso per la galleria.

Guarda, la sua Testa che osserva – un gesso “astratto” del 1929 –, la rifinitissima Paolina Borghese del Canova: alla politezza neoclassica risponde la politezza di un Novecento essenzializzato, come una poesia di Ungaretti. E mentre il David di Bernini si prepara, stringendo le labbra, a lanciare il sasso contro Golia, Giacometti ne ripete a suo modo la torsione nel bronzo del '50 Uomo che cammina, bellissima invenzione di forme stilizzate all’inverosimile, un corpo velocizzato, diremmo, e diventato una forma "elettrica".

Straordinaria poi la sala dove Apollo insegue Dafne come una musica di Vivaldi – del Bernini – e accanto gli risponde La Donna in piedi del ’48, bronzo acuto come uno spillo: il ritmo vorticoso del barocco è diventato un ago filiforme di donna, una punta di spillo verso l’infinito: nell’arte di Giacometti la tensione-torsione verso l’infinito è pressante, esasperata.

Nella Sala degli imperatori, presenze classiche imponenti, si stende nello spazio un bronzo del '47, una delle sculture migliori  dell’artista: La mano. Basta un braccio nudo, vestito di pelle raggrinzita e lunghissimo come un grido, è sufficiente la mano spalancata con le dita allargate a imprigionare e raccogliere spazi dolorosi, e l’anima novecentesca è qui, con l’eco della guerra ancora presente, la frantumazione interiore concentrata in un solo gesto. Le glorie degli imperatori sono “nulla” di fronte a tanta sofferenza, la maestà classica viene “diminuita” dal bronzo che si alza a misurare la storia.

Se poi Enea e Anchise sono un gruppo barocco in movimento, l’Uomo che cammina sotto la pioggia, del '48, è una di quelle opere che lascia stupiti. La lunga tavola che simboleggia la terra, la strada – e pare quasi simile a un sarcofago antico stilizzato –, l’uomo piegato e rigido che avanza verso lo spazio come un automa (quando piove, il disagio ci fa diventare meccanici) sono qualcosa di fascinoso: è reale, e nello steso tempo surreale. È fisico il bronzo, ma anche immateriale.

La grandezza di Giacometti forse sta proprio qui, nella continua oscillazione tra geometria e poesia, realismo e astrazione, sintesi e dinamica. Poesia del corpo, luce dei sensi è nella Sala Egizia – un’arte ammirata da Giacometti – La donna che cammina, del '36: un corpo “africano” levigatissimo, lucido, privo delle consuete incrostature della materia nel bronzo. È la femminilità allo stato puro, naturale. Non c’è bisogno del volto, perché il corpo dice vita, fascino: parla come presenza.

Dopo aver percorso queste e altre stanze, si giunge al Salone dall’immensa volta con la storia di Enea, trionfo dell’enfasi barocca. Giustamente ad essa rispondono le gigantesche figure di oltre due metri di donne e uomini, “colonne” a sostenere l’aerea leggerezza della volta, fantasmi di bronzo, che immagineremmo ancora più alte, magari accanto ai grattacieli newyorchesi.

Giacometti si inserisce nella polifonia del Salone senza alcuna stonatura, anzi è parola bronzea che risponde come un canto aguzzo alla corale degli affreschi. È come se due epoche, due modi diversi di essere uomo, si stiano incontrando. Forse è anche questo uno dei meriti della superlativa rassegna. Da non perdere.

Fino al 25/5 (catalogo Skira)

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