A Siracusa l’Elettra ossessionata di Gabriele Lavia

Interpretata da Federica Di Martino, la tragedia di Sofocle ripropone per il ciclo di spettacoli classici la storia di una donna che trasforma il dolore in atto devastatore senza che la speranza di un cambiamento trapeli, neppure nell'allestimento del regista milanese cupo come il dramma che si consuma davanti agli spettatori
Elettra di Gabriele Lavia

Memoria del passato e attesa della vendetta, l’”Elettra” di Sofocle è tragedia senza tempo di chi subisce un male e converte il dolore in atto difensivo e devastatore di chi lo ha causato.  La storia di questa donna trapassa i secoli dell’orrore del sangue e viene riproposta da Gabriele Lavia all'inaugurazione del 52mo ciclo di spettacoli classici dell’Inda al Teatro Greco di Siracusa.

Nel palazzo di Micene, nella bella ricostruzione post-apocalittica dello scenografo Alessandro Camera – un rovinoso palazzo color ruggine, ossidato dal tempo e dagli eventi umani, con una sbilenca scalinata in diagonale, e con la scena ricoperta di sabbia con resti di casse e detriti –  Elettra, scomoda sopravvissuta, trae il canto della sua disperazione: lì sua madre, la regina Clitennestra, col suo ganzo Egisto, ha macellato il marito Agamennone reo di aver sacrificato la figlia Ifigenia. E l’orfana, invano richiamata alla rassegnazione dalla sorella Crisòtemi, si abbandona, come in un isterico sogno, alla speranza della vendetta. A compierla però dovrà essere il fratello Oreste, fanciullo, all’epoca del delitto e allonyanato per essere messo in salvo. Oreste torna. Nessuno, tranne il suo pedagogo che per ingannare Clitennestra ne aveva annunciato la morte -,  lo riconosce.

Dopo lo svelamento ad Elettra, egli compie il duplice atto di giustizia, affondando la spada nelle carni della madre assassina, della quale Egisto avrà appena il tempo di vedere il cadavere per essere poi sospinto anche lui dentro il palazzo e ammazzato dentro quelle mura, là dove uccise Agamennone: perché il suo corpo, come invoca Elettra, sia gettato agli uccelli e ai cani, suoi degni seppellitori.

Al Teatro greco diSiracusa la regia di Lavia ha realizzato (sulla traduzione asciutta di Nicola Crocetti) uno spettacolo d’impatto soprattutto visivo dove la parola spietata risuona con veemenza, ma è troppo veloce e i sessanta minuti in cui si concentra non permettono di lasciarla incidere sufficientemente nell'animo del pubblico. Descritta come reietta e barbona, la rivoluzionarietà di Elettra, per quel voler ribaltare il mondo col suo gesto estremo, non ci giunge in tutto il suo spessore di tragicità.

Nel nutrito Coro femminile sempre presente, e sulle cupe sonorità timbriche di Giordano Corapi, l’Elettra interpretata da Federica Di Martino, per restituire la natura straziantemente e irredimibilmente umana del dolore, usa accenti troppo urlati dall’inizio alla fine, e con una postura continuamente piegata e strisciante che non si presta lì dove, invece, la vastità della cavea richiedebbe una fisicità eretta, esposta. Col costume stracciato, diversamente dal resto degli altri personaggi, la sua chioma corta, da aliena, è contrapposta alle lunghe capigliature della sorella Crisòtemi – la brava Pia Lanciotti per equilibrio di resa interpretativa – e della madre Clitennestra interpretata da Maddalena Crippa  con arroganza gelida e con grinta da regina-leonessa che graffia la figlia con le sole parole. Completano il cast l’Egisto un po’ macchiettistico di Maurizio Donadoni, il pedagogo Massimo Venturiello, l’Oreste Jacopo Venturiero, il Pilade Massimiliano Aceti.

Al teatro Greco di Siracusa, fino al 12 giugno.

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