A secco di lungimiranza

“L’acqua in Italia c’è. Facciamolo sapere a tutti. Siamo in una condizione positiva rispetto a molti altri paesi dell’Unione europea”. È quanto hanno dichiarato, non senza un’evidente disappunto, le organizzazioni degli agricoltori, colpiti duramente dall’assenza di piogge. E giù a snocciolare dati. Abbiamo una disponibilità effettiva di 980 metri cubi all’anno per persona, rispetto ad una media dei paesi dell’Unione europea di 600, mentre il quantitativo effettivo dei consumi di acqua è di 715 metri cubi per italiano. La più elevata percentuale di risorse idriche è utilizzata al Nord, con il 65 per cento del totale, mentre il Centro ne adopera il 18 per cento, il Sud il 12, le Isole il 5. Al paradosso dell’abbondanza d’acqua si sono aggiunte, nella situazione di siccità di questa torrida estate, due anomalie. Un caso squisitamente italiano. La prima è ben nota da luglio: la zona più ricca di acque, quella del decorso del grande fiume Po, che non dovrebbe soffrire di carenze idriche, è in grave crisi. L’altra, di segno positivo, riguarda il Sud del paese: mai tanta acqua negli invasi – tre volte in più rispetto allo scorso anno – per effetto delle piogge primaverili che hanno consentito di immagazzinarne tutta quella possibile. L’unico fatto deprecabile è che questo oro blu non arriva nei campi. Gli agricoltori del Mezzogiorno infatti hanno serie difficoltà ad approvvigionarsi di acqua perché ben poco può aiutare il vecchio e rabberciato sistema di distribuzione esistente. “Se l’acqua c’è, bisogna saperla gestire. Se l’acqua c’è, va raccolta con intelligenza”, fanno presente i Coltivatori diretti, mettendo il dito su una piaga che poteva essere risanata da tempo. Perdura infatti sul tema della cattiva gestione un conflitto tra regioni ricche di acqua e regioni povere che impedisce di mettere a frutto il principio di sussidiarietà tra le une e le altre in una visione unitaria delle esigenze del territorio nazionale. “Manca – stigmatizzano gli esperti – ogni forma di collaborazione tra gli organi di gestione delle risorse idriche”. E la faccenda assume i toni del grottesco perché in fatto di acqua i soggetti interessati non sono solo lo stato, le regioni, le province e i comuni, ma la cerchia si allarga alle autorità di bacino fino alle agenzie di produzione dell’ambiente,dagli ambiti territoriali ai consorzi di bonifica. Insomma, in Italia la competenza è ripartita tra oltre 7 mila organi di gestione. Se poi si aggiunge che tutti questi enti sono regolati da norme specifiche, si può ben immaginare la selva di leggi che finisce per mancare l’obbiettivo indispensabile, quello di una gestione unitaria della risorsa “acqua”. I bacini di contenimento delle acque, i cosiddetti invasi, che hanno dimensioni nazionali sono solo 194 e vengono utilizzati per uso potabile, solo in parte per ricavare energia elettrica. Anche la manutenzione di questi invasi è insufficiente rispetto alle esigenze, quando non procedono al rallentatore i lavori di completamento delle opere. In Sicilia, ad esempio, ce ne sono 51 di varie dimensioni. Potrebbero raccogliere 1.120 milioni di metri cubi, ma il limite è per il momento fissato alla metà unicamente per motivi burocratici di collaudo. Altro aspetto importante, il riutilizzo delle acque reflue. Sarebbero una fonte preziosa per gli usi irrigui in agricoltura e un’opportunità in questo tempo di siccità. Ma non se ne può beneficiare. Tarda infatti da oltre un anno l’approvazione da parte del ministero dell’Ambiente del decreto che regola le norme tecniche di recupero. “Tre mesi di caldo e di siccità sono costati finora ad ogni italiano 90 euro in più”, ha dichiarato Massimo Pacetti, presidente della Confederazione italiana degli agricoltori. Agli aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari, in particolare di frutta e verdura, vanno sommati la vertiginosa crescita negli acquisiti di acque minerali e bevande e gli incrementi nei consumi di energia elettrica per il maggior uso di condizionatori e refrigeratori. Il balzo dei prezzi non ha un legame con la siccità, continuano a ripetere gli esperti del settore e le associazioni dei consumatori. E ci ricordano che la minore disponibilità di albicocche e pesche, ciliegie e susine è da addebitarsi alle gelate di aprile e alle grandinate successive. I danni veri e propri della siccità li vedremo in agosto e nei mesi successivi e riguarderanno tante colture, dal riso al mais, alle barbabietole, dalle viti di pregio agli ulivi. Prepariamoci: i prezzi non resteranno certamente fermi. Per tante famiglie, i maggiori costi si uniscono ad una situazione permanente di disagio che la mancanza attuale di piogge accentua solamente. Ben il 28 per cento, secondo la rilevazione dell’Istat, denuncia un irregolare servizio di fornitura d’acqua. La causa? Molto chiara secondo l’ultima relazione del Comitato per la vigilanza delle risorse idriche, che valuta in un 42 per cento le perdite medie del servizio di acquedotto, anche a motivo di un’età media delle opere di 32 anni. La penuria d’acqua di questo periodo mete a nudo la necessità di coordinare la gestione complessiva delle risorse idriche e di iniziare in modo lungimirante una politica di programmazione degli interventi. Non sono mancati sinora investimenti consistenti: negli ultimi 15 anni sono stati spesi 50 mila miliardi di vecchie lire. Il problema è che sono andati per far fronte alle emergenze, non per costruire opere. I cambiamenti climatici in corso sono destinati a produrre effetti strutturali sul complesso delle attività agricole e industriali. Piani di semplice emergenza non servono più. CONVIVERE CON I CAMBIAMENTI Mucche “stressate” che offrono poco latte, api che non trovano più fiori per produrre miele, invasioni di cavallette di biblica memoria che danneggiano le colture già decimate dalla siccità. Un quadro allarmante, di fronte al quale sarà opportuno attrezzarsi per convivere con la nuova situazione. Stiamo assistendo infatti ad una progressiva modificazione della distribuzione delle piogge, dovuta ad una riduzione di quelle invernali e ad un consistente aumento di quelle della stagione estiva e del suo prolungamento in autunno. Con la tropicalizzazione del clima è aumentata l’intensità delle piogge, passando, per le precipitazioni più rilevanti, da una media di 40 millimetri a 80-120, con precise conseguenze: difficoltà del terreno ad assorbire acqua, aumento dell’erosione dei terreni nelle zone collinari, allagamenti in pianura. Autunni caldi e primavere anticipate (in media di quindici giorni) sono il risultato degli sfasamenti stagionali in corso. Gli effetti sono rilevanti: anticipo del germogliamento delle colture e di tutto lo sviluppo, aumento del rischio di gelate tardive, aumento dell’incidenza di infezioni nelle colture e di sviluppo di insetti. Nel periodo estivo, è aumentato il numero di giorno consecutivi con temperature elevate. La persistenza media delle temperature sopra i 34 gradi è passata da due a otto giorni in cento anni. BEDONI (COLDIRETTI) BASTA EMERGENZE PROGRAMMIAMO IL FUTURO Presidente Bedoni, le piogge future, nella speranza che arrivino, risolveranno un po’ il problema della penuria d’acqua? “Non dimentichiamo che gli effetti sono diversi se piove in estate piuttosto che in inverno. Complessivamente, nel periodo estivo sono aumentate le piogge, ma non aiutano a risolvere il problema perché sono battenti o addirittura torrenziali. C’è da attendersi forti alluvioni nella prosieguo dell’estate. Quando la pioggia arriva ad agosto, la pianta ha già sofferto lo stress idrico, è troppo tardi, e se le precipitazioni sono violente si rischia di perdere non solo la produzione ma anche la pianta”. Eppure permane la necessità d’acqua. “Siamo schiacciati tra due esigenze. Da una parte c’è bisogno di tanta acqua per rialzare il livello dei fiumi, ma se dovesse venire giù tutta l’acqua di cui c’è bisogno assisteremmo certamente a disastri. Dall’altra parte, se non piove sappiamo benissimo che non arriviamo a fine agosto, perché l’acqua disponibile non è sufficiente per le necessità in agricoltura”. Se la situazione di siccità dovesse prolungarsi sino alla fine d’agosto, quale quadro si prospetta? “Avremo raccolti ridotti al minimo nelle colture di pieno campo, dal mais alle barbabietole, dalle patate al pomodoro da industria. Se dovesse piovere, temiamola grandine, perché abbiamo già visto lo scorso anno ad agosto i danni provocati”. Quale lezione trarre da tanta siccità? “Dobbiamo capire che non si può più parlare di situazioni d’emergenza quando si verificano oramai ogni anno. Va preso atto dei cambiamenti climatici e creare le condizioni per far sì che l’Italia torni ad essere un paese in cui si fa agricoltura in un quadro di normalità, senza dover lanciare periodicamente un allarme ad ogni gelata, grandinata, siccità”. E per uscire dall’emergenza? “Bisogna affrontare l’emergenza ma anche costruire il futuro con interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque. Servono le opere infrastrutturali già definite per legge e non ancora attuate, campagne d’informazione ed educazione all’uso corretto dell’acqua e un impegno a razionalizzare le competenze in un settore dove esiste una vera alluvione di leggi”.

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