A scuola di democrazia
Nel quartiere alessandrino tra la via Prenestina a nord e la via Casilina a sud è presente sin dagli anni Venti la comunità evangelica Battista, già presente a Roma con i primi missionari nel 1872 dopo la Breccia di Porta Pia. Nel 1921 sorge il primo nucleo del quartiere Centocelle in origine privo di servizi: acqua, fogne, luce e di collegamenti con la città. Le famiglie soffrono le conseguenze della Grande Guerra e George Bordman Taylor fonda nel 1923 un orfanatrofio per accogliere i bambini che le famiglie romane abbandonavano. Migliaia sono i nostri figli cresciuti fino alla maggiore età dalla chiesa evangelica battista di Roma. Ora l’istituto G.B. Taylor, dal 2000 si è trasformato in una casa di riposo. Accanto nasce la Chiesa diretta da due anni dal pastore Herbert Anders che segue una comunità di circa 500 persone.
All’interno delle vostre comunità vige un sistema democratico nel prendere le decisioni?
«Esiste un consiglio parrocchiale con sette membri, il voto del pastore vale come quello di tutti gli altri. Le decisioni si prendono a maggioranza, ma quasi mai, a dir la verità siamo arrivati a votare, ci siamo accordati prima. Si parla su questioni le più varie, dal nuovo impianto elettrico ai corsi biblici, e si decide. È una chiesa vivace che discute, radical democratica, dove le decisioni più importante sono prese dal popolo, da tutta l’assemblea riunita dove le decisioni sono prese con una maggioranza di due terzi. Il pastore ogni cinque anni deve essere rieletto per un massimo di tre mandati, 15 anni, dopo deve cambiare chiesa».
Dall’orfanatrofio è nata, poi, la comunità. Oggi quali opere caritative svolgete?
«Lo slancio caritativo oggi si concretizza in un doposcuola per 40 famiglie di migranti del Pakistan, India, Bangladesh, nella distribuzione di cibo non deperibile, in un corso base di italiano per le mamme. La più grande opera organizzata è la casa di riposo G.B. Taylor, in convenzione con la Asl, che ospita circa 35 anziani. È una casa di riposo aperta tutti dove ci sono attività di animazione, momenti di studio e di preghiera, feste tra nonni e nipoti per cerare ponti tra le generazioni».
Cosa si potrebbe fare di più per aumentare la sensibilità ad un ecumenismo di base, del popolo?
«Crediamo nell’interdipendenza delle confessioni cristiane. Noi non potremmo sussistere se le altre chiese non esistessero perché insieme il nostro annuncio del Vangelo è amplificato. Roma, per la presenza di tante chiese cristiane, crea possibilità straordinarie per l’ecumenismo. A livello popolare ciò che unisce è fare delle attività insieme come abbiamo fatto con la vicina parrocchia cattolica di San Giustino. L’anno scorso abbiamo accolto i pellegrini venuti a Roma per l’incontro di Taizè. Lavorando insieme si superano tutte le barriere. Entrambe le comunità ricordano con piacere la bella esperienza fatta».