A San Miniato rivive Romero, vescovo scomodo e martire

Fino al 20 luglio, va in scena la storia del prelato ucciso in El Salvador mentre celebrava la messa, per mettere a tacere le sue denunce contro lo sfruttamento dei contadini
Spettacolo Il martirio del pastore foto massimo Agus

Sul grande palcoscenico spoglio con sullo sfondo la facciata del Duomo di San Miniato nella piazza omonima, campeggia, sopra l’altare di legno, una croce gigante. Una scena povera, senza orpelli, per dare voce alla storia del vescovo Oscar Arnulfo Romero.

 

A trentasei anni dalla sua uccisione violenta, il 24 marzo 1980, avvenuta in un paese, El Salvador, attraversato dalla guerra civile e dalla guerra contro i civili, il suo sacrificio rivive oggi nello spettacolo “Il martirio del pastore”, testo di Samuel Rovinski (con la traduzione di Eleonora Zacchi), scelto per la settantesima edizione della Festa del Teatro di San Miniato, istituzione che, ricordiamolo, si richiama ai valori cristiani senza essere confessionale.

 

E la storia di Romero s’innesta drammaticamente nel nostro presente di stragi di religiosi e di cristiani ancora in atto in varie parti del mondo, e in quella “Chiesa dei poveri" che oggi mantiene tutta intera la sua forza evangelica, e che ha il suo pieno compimento nella predicazione, nelle parole e nei gesti di papa Francesco.

 

Il regista Maurizio Scaparro ha puntato ad una messinscena essenziale, concentrando la vicenda negli ultimi tre anni di vita del vescovo amico dei poveri che si opponeva alla violenza e intendeva trovare una soluzione pacifica ai problemi del Paese.

 

Paese che conobbe, come in Brasile, Argentina, Cile, Nicaragua, le violenze dei regimi militari. In quel contesto assolutamente tragico si inserisce la vicenda di Romero. È noto che la sua “chiamata” avvenne in una notte di veglia, davanti al corpo esanime dell’amico gesuita, padre Rutilio Grande, ucciso anche lui perché voce dei poveri. E ciò che muore in padre Rutilio rinasce a nuova vita in Romero, che fa della parola pubblica e della difesa concreta e quotidiana dei diritti dei più deboli il suo programma pastorale secondo il vangelo, diventando “il microfono di Dio”.

 

Il suo spazio non furono la politica, le alleanze, gli interessi dei gruppi popolari o di quelli imprenditoriali. Il suo spazio divenne la liturgia. La sua predicazione, della quale si raccontano omelie lunghissime, consola il suo popolo e lo anima, cosciente del fatto che, finché non si rimuove l’ingiustizia, è impossibile realizzare condizioni di pace. E sono alcune omelie il fulcro della messinscena di Scaparro. Il tempo è dato dall’andirivieni di campesinos calpestati, di oligarchi, di monsignori, di padroni terrieri, di colonnelli, che segna il percorso a tappe del vescovo: dapprima ignavo, poi sempre più coraggioso nel comprendere e denunciare le ingiustizie della società in cui egli veniva ad assumere nuove responsabilità, il tentativo di delegittimarlo nel suo essere vescovo, fino all’accettazione del rischio per la sua vita.

 

Romero muore durante la liturgia della messa, all’inizio dell’offertorio, ucciso da una pallottola che lo colpisce al petto. E sul corpo esanime tenuto come una Deposizione si chiude lo spettacolo. Alquanto appropriata è risultata la scelta di alcuni canti popolari sudamericani di resistenza e di amore di quegli anni – di autori come Horacio Guarany e Mercedes Sosa -, e altri cantati dal vivo da Gianni De Feo.

 

Ma lo spettacolo avrebbe avuto bisogno di una maggiore consistenza scenica, di più ritmo drammaturgico e di più presenze attoriali, per ricreare quel mondo travagliato,con la violenza istituzionalizzata, il contesto rivoluzionario. Col risultato che le parole di Romero, impersonato da Antonio Salines, spesso perdono forza. Come anche certi importanti dialoghi.

 

Il martirio del pastore”, di Samuel Rovinski, regia Maurizio Scaparro. Con Antonio Salines, Edoardo Siravo, Gianni De Feo, Riccardo De Francesca, Michele Digirolamo, Fabrizio Bordignon, Alessandro Scaretti, Marco De Francesca, Gabriella Casali, Eleonora Zacchi. Realizzazione Fondazione Istituto Dramma Popolare, Teatro Belli, Arca Azzurra. A San Miniato (Pi), fino al 20 luglio.

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