A San Miniato gli sbarchi clandestini di Finis terrae
Alla Festa del Teatro di San Miniato, nella splendida piazza del Duomo,si rinnova ogni anno l’appuntamento col “teatro dello Spirito”,quella drammaturgia che potremmo definire non confessionale, che si pone la ricerca dei valori e dei significati fondamentali dell’esistenza, affrontandoli anche in maniera conflittuale e non risolta.
È questa l’ispirazione di sempre dell’Istituto Dramma Popolare sanminiatese che ribadisce la funzione del teatro come palcoscenico della vita non solo nella sua dimensione artistico-culturale, ma etico-sociale. Programma che sta alla base della sua ispirazione e che ha visto mettere in scena in questi cinquantott’anni di vita grandi autori classici e moderni (da Eliot a Bernanos, da Claudel a Luzi, da Mann a Strindberg) e altrettanti grandi attori e registi.
Partendo dal drammatico e attualissimo tema dell’inarrestabile flusso migratorio sui barconi della speranza e della disperazione,“Finis terrae”, commissionato per questa edizione a Gianni Clementi, è un testo che vorrebbe suscitare una riflessione critica sulle nostre barriere mentali, sulle nostre paure della povertà non solo materiale ma anche morale e spirituale, sulla pietas che ci interpella e ci chiede di mettersi nei panni dell’altro. Se le intenzioni ci sono tutte, la resa non è altrettanto convincente, sia sul piano testuale, che registico e di messinscena.
Nella notte di Natale, su una spiaggia battuta da una forte burrasca, si ritrovano due strampalati personaggi che vivono al confine tra la legge e il crimine. Nell’attesa di un carico di sigarette da contrabbando che dovrà giungere dal mare, diffidenti prima l’uno dell’altro perché sconosciuti, poi in un dialogo che li vedrà manifestare la loro vita di miserie e di aspirazioni, i due uomini, tra una bevuta e l’altra, si addormenteranno e, forse, sogneranno quella massa di africani che il mare, improvvisamente, rigetta sulla loro riva. Giungono in catene, frustati da un Caronte-scafista – di dantesca memoria nel declamare i versi dell’”Inferno” -, trascinando ciascuno un pezzo di relitto a forma di croce che, piantate in terra, formeranno lo scheletro di un barcone. Tra questi naufraghi, alcuni dei quali narreranno le loro storie, c’è anche una donna incinta che porta in grembo il frutto di una violazione. Il suo racconto precede la ribellione dei prigionieri i quali, improvvisando una croce su uno scoglio, legano ad essa il loro aguzzino come un Barabba, e poi fuggono. La nascita del bambino avverrà mentre in lontananza suonano le campane che annunciano l’Avvento e si udrà una voce fuori campo (di Roberto Herlitzka) che declama la poesia di Pasolini “Alì dagli occhi azzurri”. L’inizio dello spettacolo, diretto da Antonio Calenda, ha i tempi comici – ma troppo dilatati nei dialoghi – che si addicono ai due protagonisti, gli attori Paolo Triestino e Nicola Pistoia, con cadenze romanesche e siculo-pugliesi, e, nella seconda parte, in versi e rime; quindi il ritmo vira su una mescolanza di stili, di linguaggio alto e basso, di cliché, e di immagini (efficaci gli effetti di controluce sullo sfondo aperto della scena), che stentano a trovare una forma e uno stile unitario, con finale posticcio nello svelamento del sogno. Inoltre, l’aver presentato i clandestini come una band folkloristica con tanto di percussioni e balli corali, rivela una scrittura e una regia non risolta.
“Finis Terrae”, di Gianni Clementi, da un'idea di Antonio Calenda, con Nicola Pistoia e Paolo Triestino e con Francesco Benedetto, e Ismaila Mbaye, Ashai Lombardo Arop, Moustapha Dembélé, Moustapha Mbengue, Djibril Gningue, Ousmane Coulibaly, Inoussa Dembele, Elhadji Djibril Mbaye. Regia Antonio Calenda, scene di Paolo Giovanazzi, costumi di Domenico Franchi, luci di Nino Napoletano. Produzione Fondazione Istituto Dramma Popolare – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.