A San Miniato Antigone continua a vivere

Alla Festa del Teatro della cittadina toscana, l’eroina di Sofocle nella rilettura della scrittrice spagnola Maria Zambrano emerge dall’ombra e rivela la profondità e l’atemporalità della sua vicenda
Spettacolo L'ombra di Antigone

Una scelta da lodare, quella dell’Istituto del dramma popolare di San Miniato, che quest’anno, per la 67a edizione della Festa del Teatro, in sintonia coi principi che lo animano – quelli di un “teatro del sacro” e dei valori, che parli alla coscienza dell’uomo di oggi -, ha proposto “L’ombra di Antigone”, liberamente tratto dal testo della filosofa spagnola Maria Zambrano “La tomba di Antigone” (1967).

Opera impegnativa, bellissima, di forte impatto drammaturgico, impregnata di domande e di ricerca sulla verità, sull’amore, sulla pietà, che attinge al mito dell’eroina di Sofocle, ed estende il significato del suo agire per parlare all’uomo contemporaneo riproponendo un’etica della responsabilità, del dovere e, soprattutto dell’amore.

Filosofa dall’esistenza travagliata, in perenne esilio (dalla Spagna in Messico, Cuba, Francia, Italia, Svizzera), Zambrano scrisse quest’opera con chiare allusioni alla storia della propria sorella Aracoeli, vittima innocente, divenuta pazza a causa dell’uccisione del marito da parte dei franchisti e per le violenze subite dalla Gestapo, mentre era reclusa in un campo di concentramento.

Antigone, ribelle e eroica, sprezzante e dolente, è chiamata a ripetere la propria nascita per dare finalmente compiutezza alla propria identità. Nella messinscena del regista fiorentino Roberto Guicciardini l’avvio è con un prologo che sintetizza l’Antigone sofoclea, e alcune suggestioni della versione di Brecht, con l’eroina da giovane vestita di rosso che si aggira muta ad osservare lo svolgimento della sua vicenda rivedendo lei stessa adulta.

La breve ricostruzione serve ad introdurre la seconda parte, l’Antigone di Zambrano: un viaggio agli inferi, nel regno delle ombre, per captare le voci ignorate dalla ragione, per poter procedere “verso quella luce che si accende là dove si addensano le ombre”. Antigone è l’innocente al centro di una vicenda di guerra e di potere, sepolta viva in una tomba, luogo di silenzio che si anima delle voci e delle presenze di tutti i personaggi che hanno segnato di tragicità la sua esistenza – i fratelli Polinice ed Eteocle, la sorella Ismene, Edipo, Creonte, la nutrice Anna, il promesso sposo Emone, l’ombra della madre, e l’Arpia, minacciosa presenza della paura e dell’orrore -, dai quali comunque apprende qualcosa nel cammino di ricerca della verità, al termine del quale si pone l’amore col suo richiamo a seguirlo nella Terra Promessa, sui passi di un visitatore sconosciuto.

Ed è di forte densità emotiva l’intrecciarsi dei suoi monologhi e dei dialoghi – specie quello col cieco Edipo, bendato, o l’incontro con la sorella, tra voci di bambini, a evocare i giochi della loro felice infanzia – che rivelano il senso più profondo del destino toccato a ciascuno dei personaggi della storia. Antigone diventerà mediatrice tra la vita e la morte, che redime, con la forza dell’amore, «il nodo delle viscere famigliari», rivelandosi, per ciascuno di loro «profezia di una seconda nascita». La regia asciutta e nitida di Guicciardini fa muovere gli attori in una scena semplice, dominata da una pedana rialzata e una torretta centrale con una finestra dai bagliori cangianti che segnano albe e tramonti, unici riferimenti del trascorrere del tempo nella tomba di Antigone. Nella seconda parte la vista laterale verrà chiusa da due grate, da dietro le quali appariranno via via avanzando le ombre interlocutrici di Antigone, smarrite e interrogative, vestite di bianco.

Nell’ottimo cast sono di grande intensità le due Antigone: quella giovane di Alice Spina e quella adulta di Leda Negroni. Ma sono da citare tutti gli altri interpreti: Bob Marchese, Lombardo Fornara, Fiorenza Brogi, Silvia Nati, Antonio Silvia, Antonio Sposito, Mattia Mariani.

 

Nella piazza del Duomo di San Miniato (Pi), fino al 24 luglio. Lo spettacolo è prodotto dalla Fondazione Dramma Popolare e realizzato dal Teatro Savio di Palermo.

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