A Roma, tutto il mondo di Steve McCurry

Arriva nella capitale la rassegna con gli scatti più recenti del celebre fotografo. 250 immagini, insieme ad una selezione del suo vasto repertorio, che già hanno riscosso grandissimo successo
ragazza afghana mc curry

Nel celebre trattato sulla fotografia La camera chiara, Roland Barthes scriveva: «Ciò che mi sta a cuore non è la “vita” della foto (nozione puramente ideologica), ma la certezza che il corpo fotografato mi tocca con i suoi propri raggi, e non con una luce aggiunta successivamente». E allora: chi non è stato toccato dagli occhi verdi e penetranti della ragazzina afghana apparsa nella copertina del National Geographic nel 1985, e diventata uno dei ritratti più famosi al mondo.

 

L’ipnotizzante sguardo dell’enigmatica Monna Lisa di nome Sharbat Gula, all’epoca in cui Steve McCurry la immortalò, fece conoscere il dramma dei profughi centroasiatici. Oggi è una donna di 38 anni. Nel 2002 McCurry è riuscito a rintracciarla e a rifotografarla nello stesso atteggiamento, consegnandoci un’altra icona del nuovo secolo. Ma anche gli altri sguardi, occhi, gesti, altrettanto incisivi catturati dall’obiettivo del grande fotografo ci parlano. E ci dicono bellezza, dignità, sofferenza, speranza. Vita. Come lo sguardo nero di un minatore afghano, il candore della posa di due suore a Lourdes, la serenità di un giovane tibetano. «Osservare un viso è come guardare dentro un pozzo – dice il fotografo –. Sul fondo si compone un riflesso, ed è l’anima che si lascia intravedere».

 

Il senso più profondo dell’opera artistica di McCurry è l’uguaglianza della condizione umana, al di là delle epoche, del tempo e dello spazio, e dei diversi luoghi geografici nei quali è stato. È questo il filo rosso che lega fra di loro le straordinarie immagini di uno dei maestri del fotogiornalismo che da quarant’anni (di cui oltre venti per l’agenzia Magnum) gira il mondo, arricchendoci con la sua testimonianza che evoca l’ampio mosaico dell’esperienza umana. Fatta di scambio, incontro, relazione, che arriva a unire «la sorpresa dell’essere estraneo alla gioia della familiarità». Un invito a riflettere sull’altro, sul senso di appartenenza, identità e accoglienza fra le culture e le civiltà.

 

Dopo il grande successo di Milano la mostra è approdata a Roma dove, già nel primo fine settimana, si sono registrate affluenze record con oltre 3.500 visitatori. Nelle 250 fotografie esposte, insieme ad una selezione del suo vasto repertorio, che ci ha fatto fatto conoscere i volti e i colori dell’Afghanistan, del Tibet e di quell’immenso crocevia di popoli e culture che è l’Oriente. Sono presentati per la prima volta i lavori più recenti, dal 2009 al 2011: come il progetto The last roll con 32 immagini scattate in giro per il mondo utilizzando l’ultimo rullino prodotto dalla Kodak, gli ultimi viaggi in Thailandia e in Birmania con una serie di immagini dedicate al Buddismo, un lavoro inedito su Cuba. Accanto a queste le “fotografie italiane”, un omaggio al Belpaese frutto dei ripetuti soggiorni effettuati nel corso di quest’anno in varie città e regioni, dal Veneto alla Sicilia, appositamente per questo evento.

 

Il suggestivo allestimento globale è pensato come un villaggio nomade con una serie di volumi che si compenetrano tra loro per restituire quel senso di umanità che si respira nelle foto di McCurry. In esse egli ci offre un’interpretazione della realtà che penetra la realtà stessa. Ci accompagna dentro scenari geografici e umani che paiono alludere a un pensiero nomade, sia per le suggestioni di alcune ambientazioni, sia per le attitudini dei suoi ritratti, della forza dei colori, del respiro universale contro l’omologazione. Fino a farci entrare dentro le tragedie del nostro tempo, scoprendovi che esse possono contenere un frammento di bellezza, una speranza di salvezza.

 

Steve McCurry. Roma, Macro-Testaccio La Pelanda, fino al 29 aprile 2012.

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