A rischio il Comitato media e minori

Quattro persone licenziate e messa in liquidazione l'associazione che ne garantisce l'operatività e il sostegno economico. Un depotenziamento in atto da anni, tra l'impunità delle tv e l'indebolimento della tutela dei minori. Intervista a Luca Borgomeo, presidente dell'Aiart
Comitato Media e Minori

Il Comitato media e minori «rileva come la sua esistenza non sia in alcun modo messa in discussione e come la sua attività prosegua nella rigorosa e imparziale applicazione delle regole del Codice». È quanto si legge in una nota dell’organismo che dal 2002 presiede all'applicazione del Codice di autoregolamentazione tv e minori – sottoscritto da emittenti pubbliche e private – diffusa dopo la notizia della messa in liquidazione dell’Associazione che fin dalle origini ne ha garantito l’operatività e il sostegno economico.

Il venir meno del supporto logistico e organizzativo, per il licenziamento improvviso del personale impiegato nell’associazione, ha suscitato il timore di una paralisi del Comitato e gettato nuove ombre sul destino di un organismo che negli anni ha dovuto lottare contro resistenze, ostilità ed ostacoli pluriformi nel tentativo di attuare il suo mandato a tutela dei minori.

Del resto, solo nell’ottobre scorso, il Comitato composto da rappresentanti delle istituzioni, delle emittenti e degli utenti aveva ripreso le sue attività dopo quasi due anni di blocco per il mancato rinnovo delle cariche, mentre in passato non sono mancati tentativi di depotenziamento e delegittimazione dell’organismo, che avrebbe invece auspicato un maggiore sostegno almeno dai suoi interlocutori istituzionali.

Ma nemmeno quest’ultimo ostacolo sembra aver indebolito la determinazione del Comitato che nella recente nota chiarisce: «L'Associazione costituisce entità ben distinta dal Comitato e le sue vicende non sono in alcun modo riconducibili a quest'ultimo che – come noto – è un soggetto pubblico previsto dalla legge, a cui il ministero dello Sviluppo economico fornisce supporto organizzativo e logistico mediante le proprie risorse strumentali e di personale». Il sostegno dunque non dovrebbe mancare, e lo ha ribadito tra l’altro proprio il sottosegretario allo Sviluppo economico Antonello Giacomelli, incontrando il presidente del Comitato, Maurizio Mensi, al quale ha assicurato che il Mise «provvederà, in questa fase, a garantire la gestione del segretariato del Comitato, con proprio personale qualificato, assicurandone la piena ed immediata operatività».

E in effetti, stando a quanto riferisce su millecanali.it uno dei componenti del Comitato, Remigio del Grosso, in rappresentanza della categoria degli utenti, il dicastero avrebbe destinato due persone in sostituzione delle 4 licenziate dall'Associazione, ma risultano azzerati i rimborsi per i trasporti e i contributi per le pubblicazioni e i convegni. Inoltre, l’auspicato aggiornamento del Codice dovrebbe partire a breve ma senza il coinvolgimento degli utenti e delle associazioni che li rappresentano, piuttosto affidato alla sola Confindustria radio-tv, che per sua natura rappresenta gli interessi delle emittenti. In sostanza il Comitato non chiude, ma sono a rischio la sua efficacia, l’indipendenza, la terzietà.

Ne parliamo con Luca Borgomeo, presidente dell’Aiart – Associazione spettatori: «L’impegno preso dal Sottosegretario Giacomelli è una buona notizia, ma c’è un risvolto negativo, perché la scelta di sostituire i quattro lavoratori licenziati con altri lavoratori è un comportamento contrario a tutte le regole sindacali e alla coscienza democratica delle persone. Al di là degli aspetti legati alla legittimità del provvedimento – di cui dubito – significa depotenziare l’attività del Comitato».

Nella sua storia il Comitato ha faticato ad affermarsi…
«Il depotenziamento di cui parlo emerge da dati concreti: nel passato il Comitato ha lavorato in modo efficace sotto la presidenza di Emilio Rossi e quella di Franco Mugerli. Tuttavia solo il 25 per cento delle segnalazioni non è stato archiviato dall’Agcom (l’Autorità garante per le comunicazioni che ha l’ultima parola sulle eventuali sanzioni alle emittenti): per i ¾ l’attività del Comitato veniva cestinata. Un dato non  irrilevante se si pensa che le segnalazioni che il Comitato trasmette all’Autority sono il frutto della mediazione fra emittenti, istituzioni e utenti, un punto di sintesi fra interessi divergenti. Disconoscerle o ignorarle significa mortificare l’azione del Comitato. Questo è accaduto quando l’Agcom era guidata da Corrado Calabrò e accade ancor più oggi con la presidenza di Angelo Cardan».

Per quasi due anni l’attività del Comitato è rimasta sospesa in attesa del rinnovo delle cariche: durante il governo Monti non sembrò una priorità, e in segno di protesta lei si dimise da presidente del CNU. Poi finalmente a luglio 2013 il Comitato viene ricostituito e a ottobre si insedia, ma le ragioni del ritardo non sono mai state rese note.
«Ancora un segno della volontà di depotenziamento: è obiettivo delle emittenti fare piazza pulita del Comitato o comunque renderlo irrilevante. Al riguardo l’Aiart ha assunto una posizione netta di contrasto: la vicenda dei licenziamenti è drammatica perché l’Associazione ha alle spalle due colossi come Mediaset e Rai. Ci  sarà una fortissima reazione oltre al danno di immagine per le aziende che licenziano in maniera immotivata».

L’atteggiamento delle emittenti è cambiato negli anni?
«La situazione è mutata per effetto di diversi fattori: anzitutto la crescita di concorrenza fra le emittenti, e poi il fatto che il Codice, sottoscritto inizialmente come atto di natura privata, è stato nel 2004 recepito in via legislativa, diventando legge di Stato vincolante per tutte le emittenti a prescindere dalla sottoscrizione dello stesso e dal tipo di piattaforma utilizzata. Il Comitato ne usciva potenziato anche di fronte ai non firmatari, come Sky, che si sentivano autorizzati a non rispettare il Codice. Questo ha prodotto nel Comitato la crescente insofferenza delle emittenti, che ancora oggi godono di una sorta di impunità, perché le sanzioni sono rare e lievi: non abbiamo mai registrato l’oscuramento di un programma o la divulgazione presso l’opinione pubblica delle sanzioni, nemmeno per clamorose violazioni del Codice. L’Autority ha sempre avuto un occhio di riguardo per le emittenti e in particolare per Mediaset: si tratta di una constatazione oggettiva che trova conferma nella composizione dell’Agcom, basta vedere chi sono i commissari. Mediaset soprattutto è stato favorito in modo clamoroso dal governo, grazie agli interventi dell’ex ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani».

Fino ad oggi l’Associazione ha assicurato l’operatività del Comitato con personale e fondi: i controllati che pagano il controllore. È riuscito il Comitato a restare indipendente?
«Certamente ha introdotto grande ambiguità il fatto che i giudicati pagassero il comitato giudicante: finora il Comitato è sempre stato condizionato nel comminare sanzioni e prendere decisioni verso quei soggetti che ne finanziavano l’attività: per farlo bisognava chiedere permesso all’Associazione, con una evidente confusione di ruoli. Piuttosto, per essere autonomo il Comitato deve essere finanziato dalla fiscalità generale».

Nel 2011 si palesa il rischio che la Commissione Europea avvii una procedura d'infrazione contro l'Italia per l’assenza di una protezione adeguata per i telespettatori minorenni. L’Italia risponde con un sistema che paradossalmente allenta piuttosto che rafforzare le tutele e con l’introduzione del “parental control”: un sistema-filtro i cui limiti sono stati rilevati da molti.
«In materia di tutela l’Italia è in Europa un “sorvegliato speciale”: più di una volta il nostro Paese ha dimostrato di essere filo-emittenti, che da noi godono di maggior libertà che in altri Paesi. Venti anni di concentrazione del potere mediatico hanno compresso la libertà d’informazione e ritardato la diffusione della banda larga e della media education, con un indebolimento della tutela dei minori. Negli ultimi anni si sono fatti passi indietro con la complicità di governi che hanno fatto gli interessi di Rai e Mediaset, formalmente un duopolio ma nei fatti un monopolio con mancanza di concorrenza e omologazione dei contenuti della tv pubblica a quella privata e con scadimento dei contenuti stessi».

Si parla da anni della necessità di un aggiornamento del codice che tenga conto delle nuove modalità di fruizione dei contenuti audiovisivi. Ci sarà un altro rinvio? 
«Il presidente del Comitato Mensi ha annunciato recentemente l’apertura di un tavolo di lavoro presso Confindustria Radio-Tv, ma parla come se fosse espressione delle emittenti, mentre invece egli rappresenta l’organismo nel suo insieme, tripartito, espressione delle tre componenti. Inoltre sarebbe bene rivedere l’intera materia per unificare tutti i codici (tv, Internet, videogiochi, pubblicità) e i comitati, semplificare il sistema e responsabilizzare le emittenti imponendo ai produttori di autocertificare che i loro programmi sono conformi alle norme e rispettano il codice. Se poi si segnala una discordanza, il Comitato interviene e sanziona duramente e direttamente. La proposta del potere sanzionatorio diretto l’abbiamo fatta come CNU anni fa e 50 enti e associazioni hanno espresso pareri di apprezzamento».

Raramente le forze politiche fanno menzione della questione “tv”. Cosa aspettarci dal governo Renzi?
«Sono scettico sul fatto che i partiti possano prendere una posizione chiara sul tema della comunicazione. Negli anni Silvio Berlusconi ha determinato un controllo pressoché totale delle tv e altri partiti che avrebbero potuto avere un ruolo più incisivo non sono intervenuti. Ci si chiede: hanno sottovalutato l’importanza della materia, non hanno capito la valenza della concentrazione mediatica? O c’erano interessi prevalenti rispetto all’esigenza di assicurare un sistema mediatico degno di questo nome, in linea con gli altri Paesi d’Europa? Parlare delle criticità del sistema è sempre stato “sconveniente”, nelle aule parlamentari come sui giornali e in tv: i politici, attenti a salvaguardare la propria immagine di leader e quella del partito, in generale hanno preferito non prendere posizioni dure nel timore di non essere più chiamati ad intervenire sul piccolo schermo. Di conseguenza è mancato un dibattito sulla comunicazione anche nei media: la tv difende sé stessa, e i quotidiani temono la riduzione della pubblicità delle tv sui giornali».

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