A proposito di “Compagni e non stranieri”

Razze e nazionalità diverse possono davvero convivere? Lo studio può favorire l'integrazione? La storia di Paolo di Milano
Compagni di scuola

Carissima redazione,

 

era da oltre due mesi che non leggevo per intero un articolo di Città Nuova.

Da diversi giorni il numero 20 della rivista, faceva la muffa sul divano, arrivato in sordina al mio nuovo indirizzo di domicilio vicino a Milano, dove da un paio di mesi, nel poco tempo libero dal mio nuovo lavoro, smaltisco ancora scatoloni, sposto mobili, aggiungo mensole e accessori.

Ma dal divano, quella copertina con su scritto “Compagni, non Stranieri” mi ammiccava già da alcuni giorni, facendomi tornare alla mente ogni volta qualche dettaglio diverso della mia esperienza di Master internazionale vissuta a Strasburgo quattro anni fa.

 

Poi, ritagliandomi un attimo di pace poco fa, ho lasciato i piatti da lavare nell’acquaio, mi sono seduto sul divano al posto della rivista e l’ho aperta alla ricerca dell’articolo che mi aveva tanto incuriosito.

Risultato: mi sono commosso sin dalle prime righe, leggendo di quei ragazzi che a Roma vivono questa esperienza così profonda e al tempo stesso naturale.

Una storia che suona quasi stonata in relazione a quanto si vede, si sente, si legge per strada, in TV o sui giornali ma che a mio parere è l’unica intonata con la musica che si dovrebbe ascoltare.

 

Grandiosa la semplicità dei ragazzi che si vedono come “compagni” e non come stranieri, di razze e nazionalità diverse… che trovano il punto in comune nell’hip hop, nel lavoro a scuola, nella squadra di calcio preferita, nella vita di ogni giorno.

Ciò che colpisce di questo squarcio di vita non è il fatto che questi ragazzi vanno controcorrente, ma che lo fanno con tanta naturalezza da non rendersene quasi neppure conto.

 

Bellissima l’immagine dei “proclami sul pericolo straniero” che come materiali fragili si infrangono alle prove della galleria del vento. Mi ha fatto vedere le parole dei personaggi di turno che gridano “allarme stranieri” trasformarsi in bicchieri di cristallo o in grissini, ed essere frantumati dalle turbine di una galleria del vento fra una Ferrari ed un F16.

Questi ragazzi vanno contro le idee comuni che vedono gli stranieri come qualcuno da temere, o ricacciare indietro, o penalizzare, o degradare.

 

Mi sono chiesto perché questo loro atteggiamento è così naturale pur essendo diverso da ciò che ci viene imposto dall’esterno? La risposta è stata semplice: hanno provato e provano con mano cosa vuol dire vivere in un ambiente multiculturale, cosa vuol dire integrarsi con gli altri. In un ambiente così non si può non apprezzare, gioire e arricchirsi della diversità dell’altro.

 

Finito di leggere l’articolo la mia mente ha vagato tra i ricordi del master fatto a Strasburgo, dove ho passato quasi un anno con altri 51 studenti di 26 nazioni diverse.Certo, è stata un’esperienza molto diversa, fatta inoltre non da sedicenne ma con almeno il doppio degli anni sulle spalle; ma per certi versi è stata molto simile.

 

La scuola fonda il suo successo sulle tre “I” come da statuto: Intercultura, Internazionalità, Interdisciplina.

E su questa base i cosiddetti “Professori” (l’intero staff è multietnico come la classe!) si pongono al livello degli studenti per venire loro incontro, per far famiglia, per vivere insieme questa esperienza unica! Le serate interculturali sono all’ordine del giorno, previste dal programma di svago della scuola. Durante queste serate, ragazzi (e professori) di nazionalità sempre diverse per l’occasione, parlano della loro cultura, preparano i loro cibi, cantano le loro canzoni per far conoscere il loro “mondo” a tutti gli altri.

Per semplicità mia vi allego direttamente quello che ho scritto qualche tempo fa su di essa, sul mio blog personale (http://follementelibero.posterous.com/) col titolo L’Unità nella Diversità.

 

In conclusione, ritengo che bisogna trovarsi a vivere fino in fondo certe esperienze per poter capire quanto sia stupido, innaturale e fuori da ogni logica accanirsi tanto contro “Lo Straniero” come fosse un’entità aliena o qualcosa di spaventoso.

Chi ha “paura” degli stranieri è colui che ha una mentalità molto ristretta, paesana (passatemi il termine), chiusa alle diversità. Magari non ha mai avuto l’occasione di conoscerne davvero qualcuno oppure, si ferma ai luoghi comuni.

 

Ora però devo lasciarvi… i piatti sono ancora nell’acquaio e… credo sia il momento di andare a fare anche il resto della Sua Volontà per questa domenica.

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