A Pesaro la voglia di ricominciare
Èduro e forte il docufilm Primavera in Khurdistan che il palermitano Stefano Savona presenta in Italia, dopo averlo portato in Francia. Savona, archeologo, ha passato settimane fra i 5 mila curdi indomabili che lottano fra i monti contro la Turchia. Ne è uscito più che un documentario, uno spaccato eccezionale su una vita carica di ideali, consapevole della morte sempre incombente, di cui si avverte l’odore. Alcuni dei personaggi intervistati sono morti o in prigione, di altri non si sa nulla. Quanto dolore. C’è un’aria di mestizia che si avverte in parecchie opere, corti o lungometraggi, in questo festival particolare, per accoglienza, capacità dialogica interpersonale, sguardo lungo sul mondo, non solo della Settima Arte. C’è attenzione ai sentimenti e alla storia, individuale e dei popoli. Rivedo la ricerca di libertà di un innocente sospettato ingiustamente nel dolente, e bellissimo – uscirà mai in sala? – Itinéraires del francese Christophe Otzenberger; l’indagine, senza retorica, del dramma del nostro Sud nello sconsolato, eppur non pessimista, Pater familias di Francesco Patierno, nella sezione dedicata alla Meglio gioventù cinematografica italiana degli ultimi sei anni. Si allarga lo sguardo al cinema argentino, sospeso tra passato e presente, in forte incertezza. Se la retrospettiva su Leonardo Fabio vede in Nazareno la cruz y e el lobo il confine tra fiaba, metafora e indagine sul bene-male creare qualcosa che assomiglia al capolavoro per introspezione e magia interpretativa, oggi, in Argentina, le generazioni tentando un dialogo, faticoso ma possibile. L’introverso, sperimentale La fé del volcán, di Ana Poliak, è, ad esempio, la storia dell’amicizia fra una ragazza e un arrotino alle prese con i ricordi dei desaparecidos ma pure con i sogni e le ingenuità dei giovani. C’è scavo dei sentimenti umani, in lavori che forse mai arriveranno nei grandi circuiti internazionali, ma circolano sotterranei, riemergono e parlano soprattutto del coraggio di affrontare la vita. Quel coraggio che nei dibattiti e negli incontri informali del festival si è acceso affrontando lo stato del cinema in generale, fuori dai blockbuster americani, e di quello italiano in particolare. Ed emerge la voglia di lottare. Di dire cose capaci di suscitare emozioni lunghe e toccanti, mai passeggere. Ciò spiega i premi a tre lavori, diversi nella storia, ma uniti proprio dalla bellezza formale e sentimentale. Così, tra tristezza e dolcezza, sono stati premiati ex aequo Sensucht della tedesca Valeska Grisebach, classe 1968 – l’amore di due piccoli esseri, un metalmeccanico e una domestica di fronte all’imprevisto – e A Short film about the Indio Nacional…, dove Raya Martin di Manila, 22 anni, al suo primo film, percepisce quel passato che il popolo filippino sembra dimenticare. Fino al gioiello di umorismo intelligente che è Eden, del tedesco Michael Hofmann, premiato dal pubblico nella sezione Cinema in piazza: storia di un cuoco grasso e grosso, ma tenero e sensibile all’amore. Insomma, c’è in giro voglia d’amore e di libertà. Anche per il cinema del Belpaese, dove una galassia di autori ormai fuori dall’anonimato, attrici come Jasmine Trinca – così equilibrata -, Valentina Cervi, coraggiosa, e registi come Daniele Vicari o Vito Zagarrio non si fermano a denunciare la cronica mancanza di politica culturale nostrana. Ma lottano, con ottimismo e con rabbia per la vita della Settima Arte.