A Pesaro, la Mostra del Nuovo Cinema

Si è appena conclusa la 52a rassegna d'arte cinematografica nella città marchigiana portata avanti dal direttore Pedro Armocida
Pesaro

Si è appena conclusa la 52a rassegna d’arte cinematografica nella città marchigiana che Pasolini ha definito “un luogo dello spirito”. Coraggiosamente, l’edizione – dati i tempi e le economie – è stata portata avanti anche quest’anno dal direttore Pedro Armocida e dal comitato scientifico presieduto da Bruno Torri. Bisogna riconoscere a questo festival la capacità di sempre rinnovarsi e di far convergere a Pesaro, per un decina di giorni (dal 2 luglio) il mondo intero attraverso quel linguaggio di per sé internazionale che è il cinema. È questa l’impressione che si ha osservando documentari e corti, lungometraggi in concorso, omaggi al passato – il film Rocky del 1976, C’eravamo tanto amati di Scola del 1974 -, e proiezioni speciali come Frammento 53 di Federico Lodoli e Carlo Gabriele Tribbioli sulla guerra come “fatalità necessaria”.

Sicuramente, la rassegna dei corti possiede la funzione di proiettare il cinema verso scenari futuri affrontando le tematiche più diverse: dal lamento di Cristo abbandonato in croce (Adagio Jean Jaurés), al mito di Iperione (Hyperion), alla tragedia dell’uomo-massa (Canecapovolto), dal suicidio (Le 5 avril je me tue), alle suggestioni di un parco (Parco Lambro) ad Auschwitz e così via. Frammenti di sogni, dolori, vita reale e vita sognata: il cinema sembra ridotto all’osso. Questa bellissima esposizione suggerisce un’idea: il cinema “vero” del futuro non avrà forse bisogno di blockbutser ma si orienterà al frammento, così denso di memorie e di sentimenti da diventare –  chissà – poesia.

A fianco dei dialoghi sulla narrazione, ossia il cinema popolare negli anni del Duemila e ancor prima, Pesaro ha voluto omaggiare il regista algerino Tariq Teguja, presentando una selezione di suoi film, tra cui lo struggente, desolato Gabbla su una nazione uscita da una guerra e vogliosa di pace, non di fondamentalismi.

È la vita insomma, a trionfare. Lo dice il film vincitore del Premio Miccichè, il francese Les Ogres di Léa Fehner che con la femminilità dolce e ferma dello sguardo racconta la vita interna di una compagnia teatrale che sta mettendo in scena Chechov, ma alla fine sé stessa nelle lotte, gelosie, ricordi e affetti. Vivace, ritmico e profondo il film ha conquistato la giuria, lottando contro altri candidati eccellenti come l’egiziano In the last days of the city, su una città, il Cairo, dalle piccole storie umane in attesa della fine. Data la bellezza di alcuni film, è stato così necessario assegnare due menzioni speciali sia al ceco David (di Jan Tesitel) – l’incomunicabilità dei sentimenti dentro una famiglia -, e sia all’italiano Per un figlio (di Suranga Katumgampala) – emozionante racconto su un percorso multiculturale.

È dunque vero che il mondo si fa piccolo e concentrato a Pesaro, anche quest’anno.

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