A Napoli, una bisbetica fin troppo domata

La nota commedia shakespeariana riadatta dal russo Konchalovskij risulta in certi passaggi stereotipata e la scena trasformata in set cinematografico non rende giustizia alla poesia dell'originale e mescola tanti luoghi comuni sul nostro Paese
La bisbetica domata a Napoli

Siamo a Padova. Un ricco padre ha due figlie: la minore è Bianca, vezzosa, gentile, bella e corteggiatissima, che non andrà in sposa a nessuno finchè, per decreto paterno, non si sposerà prima la sorella Caterina, bella e giovane sì, ma fornita di un carattere impossibile.

Due baldi signori giungono in città: Lucenzio, figlio di un notabile di Pisa, deciso a conquistare il cuore della prima; e Petruccio, un veronese balzano e selvaggio, deciso a sposare una donna ricca. I pretendenti di Bianca lo invitano perciò, a loro vantaggio, a cercare di far sua la bizzosa. I due corteggiamenti si concluderanno con successo: Lucenzio conquista Bianca attraverso un sapiente gioco di travestimenti; Petruccio doma Caterina mettendone l’orgoglio a mal partito e vincendola infine con l’uso delle maniere forti. Alla fine, le due conquiste vengono messe a confronto, e ne risulta evidente la superiorità della seconda: la donna conquistata si mantiene altezzosa, capricciosa, e la sua disparità di giudizio col marito condurrà bene presto l’amore a farsi guerra; la donna domata, viceversa, comprende il valore della sottomissione femminile e volentieri piega il capo al volere dell’uomo, per la pace e la concordia.

La morale della commedia, troppo lontana dal nostro tempo, viene stemperata nel puro gioco teatrale da un patchwork firmato da Andrej Konchalovskij. Ne risulta una versione stereotipata. È l’aggettivo più immediato che si ha di questa Bisbetica domata, fresca di debutto, al Napoli Teatro Festival Italia. Considerando il nome prestigioso del cineasta russo, collaboratore di Tarkovskij (L’infanzia di Ivan e Andrej Rublev), autore di importanti allestimenti cechoviani, e sceneggiatore di produzioni hollywoodiane, ci saremmo aspettati una lettura più intrigante. Per carità, non per forza certe atmosfere o certa recitazione di stampo russo, ma uno sguardo più profondo e originale che evitasse una lettura scenica piena di luoghi comuni sul nostro Paese.

Trasformata in vaudeville, ne fa un pout-pourri, che strizza l’occhio a Fellini, alla Commedia dell’Arte, ai frizzi e lazzi di una comicità da rivista, al cinema muto (costumi e pose), alla pittura del Novecento (una scenografia di proiezioni con le piazze metafisiche di De Chirico, e manifesti pubblicitari degli anni Venti), all’Italietta fascista, al mondo circense. Ma di Shakespeare non si respira la poesia, anzi, direi che se ne banalizza il contenuto. Con continui cambi di scena dai camerini a vista in un clima da set cinematografico, lo spettacolo ha un ritmo incalzante (anche troppo), coi personaggi esagitati e una comicità forzata. Interpreti sono Mascia Musy nel ruolo della diabolica e minacciosa Caterina, con caschetto nero alla Louise Brooks; la sorella, Selene Gandini; Vittorio Ciorcalo, il padre-padrone; Federico Vanni, Petruccio; Flavio Furno, Lucenzio; e un nutrito cast di giovani e meno giovani.

 

Al teatro San Ferdinando di napoli, per il Napoli Teatro Festival Italia

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