A Midsummer Night’s Dream
Evviva, evviva all’amore. Sogniamolo pure nelle notti d’estate, quando folletti e fate spargono incantesimi e le giovani coppie passano dalla realtà alla fantasia, tra i dolci inganni, appunto, dell’amore.
Ci scherza sulla commedia scekspiriana Benjamin Britten, mettendola in musica nel 1960, con una divertente confusione di stili, di caricature vocali del passato e di ammiccamenti jazzistici e rockeggianti, ovviamente sparsi con intelligenza e gusto. La storia è arcinota per raccontarla, ma la musica, scivolosa, spumeggiante, anche languida e brillante è da sé un microcosmo spiritoso e in fondo malinconico. Come è difficile amare e passare dal sogno alla realtà. Eppure, bisogna divertirsi e sorridere, così come il Bardo (e Britten) suggeriscono.
I tre atti volano che è un piacere, perché la regia di Paul Curran, al romano Teatro dell’Opera, repliche fino al 26, è rapida, incalzante: gli scambi fra la realtà – i commedianti in abiti moderni – e la fantasia – il tempietto candido come un teatro nel teatro, con tanto di gradinata simil-antica –, si susseguono veloci e credibili, quanto mai gustosi nelle gag, nelle trovate dal gusto un po’ da commedia dell’arte.
Naturalmente, con una partitura così poliedrica nei registri – dal comico al leggero al lacrimoso al fantastico – ha bisogno di un grande direttore e James Conlon, si sa, lo è e lo dimostra, giocando con l’orchestra, che si diverte anch’essa, fra lepidezze sussurri e sensualità mica tanto nascoste.
Un cast sperimentato scenicamente e vocalmente impazza sul palco, coinvolgendo nel divertimento lo spettatore, specie all’ultimo atto. Brillante il malizioso, distratto Puck, interpretato dall’attore Michael Batten, alla sua prima volta in un’opera. Spettacolo veramente gustoso, da riproporre.