A mano disarmata
Ritorna il cinema della passione civile. Dopo Il Traditore di Bellocchio, e ricordando lavori come Veronica Guerin-Il prezzo del coraggio con Cate Blanchett e Ilaria Alpi il più crudele dei giorni, entrambi del 2003, Claudio Bonivento firma la regia di un film coraggioso. La protagonista non è una eroina del passato, ma una donna vera, reale. Che sta ancora pagando di persona. Si parla della giornalista di Repubblica, Federica Angeli, di Ostia, sposata, tre figli, che vive con la scorta perchè ha denunciato e fatto arrestare i mafiosi della sua città. Processi ancora in corso, vita ancora in pericolo. Una scelta difficile, coraggiosa, sofferta dal marito e dai figli: il più grande di 14 anni, ora che la famiglia è pure sotto scorta, teme di uscire di casa.
Eppure Federica resiste, cosciente che la sua vita è in percolo, ma almeno ha dato un esempio ai figli. «Cosa insegno a loro?», infatti si chiede durante le ore delle scelte drammatiche non sempre condivise dal marito (il bravissimo Francesco Venditti) e durante le angosce per il timore che la figlia più piccola sia stata rapita dai clan.
Tocca a Claudia Gerini, che ha vissuto ad Ostia, trasportare sullo schermo con assoluta credibilità questa donna del nostro tempo, simbolo di una femminilità non invasiva o mascolina, ma forte e dolce, tenera e determinata.
Il film è basato su fatti reali, tranne che il personaggio dell’amica collusa con la mafia, necessario per farla simbolo della debolezza della gente di fronte alla violenza esibita. Nessuno sconto però alla platealità tipo fiction, ma asciuttezza del racconto, dei dialoghi incalzanti, delle riprese rapide, concentrandosi sui sentimenti – dolore angoscia delusione terrore dubbio – e quindi sui volti, di una espressività talora drammatica, ma sempre calda di umanità.
Quello che infatti colpisce molto nel film è la ricchezza umana di Federica-Claudia, del marito, dei magistrati che l’aiutano. Una umanità che non rinnega il pianto, l’affetto, con un cuore che batte per la famiglia in primo luogo e poi per la legalità, la giustizia.
Il racconto non fa sconti al melodramma, ma è vero, perchè i sentimenti così autentici – solitudine, paura per i figli – si alternano al clima di violenza, di minaccia di morte, di paura di fronte allo strapotere dei clan. Allora come ora.
Perciò il film diventa una lezione di civiltà, e dovrebbe essere visto dagli insegnanti e dagli studenti per una riflessione e poi per una azione concreta di vivere civile nel quotidiano. Un’Italia migliore è possibile se ci sono donne come questa. Da non perdere.