A Malta vince il sì al divorzio

Svolta storica, ma dietro l’esito del referendum si cela una lotta politica tra i due principali partiti, i Nazionalisti, conservatori, e i Laburisti, socialisti
Il porto de la Valletta a Malta

Malta dice sì al referendum sul divorzio con il 54 per cento di voti favorevoli. Era l’unica roccaforte europea che ancora resisteva e, nel mondo, l’ultimo Paese dove non è ammesso il divorzio restano le Filippine dove è permesso solo l’annullamento del matrimonio e la separazione. Oltre le facili e superficiali letture che hanno contrapposto Chiesa e Stato, arretratezza e progresso, si cela una lotta politica e culturale per il controllo di Malta.

 

Da una parte i Laburisti, un partito socialista, e dall’altra i Nazionalisti, un partito conservatore, che da 25 anni sono al potere. I laburisti hanno cavalcato la battaglia del divorzio in vista delle prossime elezioni politiche che si svolgeranno tra un anno e mezzo per spingere l’elettorato al cambiamento. Il referendum di fatto era già campagna elettorale in vista delle elezioni politiche. I maggiori consensi all’approvazione del referendum sono, infatti, giunti dal Sud dell’isola dove gran parte dell’elettorato è di orientamento laburista e, non dai giovani come era nelle previsioni, che, di fatto, non hanno partecipato in massa al voto referendario.

Sonia Camilleri, co-responsabile del movimento Umanità Nuova dei Focolari di Malta, è stata impegnata per la campagna referendaria per il no al divorzio.

 

Vi attendevate questo risultato?

«Era un fatto del tutto nuovo per Malta in un periodo di grandi cambiamenti. Siamo entrati in Europa, l’avvento di Internet anche per la campagna referendaria, ecc…Per cui non avevamo delle aspettative precise. Delusione, però, tanta, ma solo per il risultato. Il nostro lavoro è stato informare la popolazione sulle conseguenze, con studi statistici, che derivano dall’introduzione del divorzio. In Irlanda, dieci anni fa, l’entrata in vigore di una legge simile ha causato un aumento dei divorzi del 400 per cento. Il nostro dovere è stato informare che il divorzio non sono “solo rose e fiori” come proponevano i sostenitori del “sì” e che non è l’unica soluzione ai problemi familiari.

Del nostro impegno siamo stati abbastanza soddisfatti, ma non del tutto, perché si sono disperse molte energie e perso molto tempo per sterili polemiche, combattere statistiche false e attacchi personali».

 

Perché la Chiesa ha voluto chiedere scusa ai maltesi prima del referendum. Com’era il clima prima delle votazioni?

«Su 600 sacerdoti cattolici presenti a Malta, solo un piccolo gruppo di 4-5, non ha avuto dei comportamenti accettabili. Un sacerdote ha vietato l’eucaristia ad una persona anziana perché aveva detto di essere favorevole al divorzio e ci sono state delle omelie non condivisibili. I laburisti, però, ad arte, hanno, con una televisione a loro completa disposizione, amplificato le posizioni di questo piccolo gruppo di sacerdoti, creando un clima di tensione e false informazioni, facendo una campagna a tutto campo contro la Chiesa. Prima dell’uscita dei risultai il nostro vescovo, Paul Cremona, ha avvertito la necessità di chiedere scusa a tutti anche perché vede oltre il risultato del referendum».

 

Come mai ha vinto il sì al divorzio anche se la società maltese è profondamente cattolica con 98 abitanti su 100 battezzati?

«C’è una grande differenza tra la percezione e la realtà. Non esiste più la Malta cattolicissima che sempre viene presentata. Come in tutto il mondo c’è un cambiamento in atto, anche se nella direzione sbagliata. Anche tanti cattolici hanno votato per il sì perché avevano esperienze personali o familiari in cui i matrimoni sono falliti e per uno sbagliato senso di solidarietà e generosità sono favorevoli al divorzio».

 

Cosa cambia nella società maltese dopo questo referendum?

«Il risultato del referendum è stato negativo, ma anche positivo, perché darà una visione più esatta su come evolve oggi la società maltese. È molto importante, come cattolici, che ci fermiamo e capiamo, con il silenzio e la riflessione, a che punto siamo e in che direzione dobbiamo procedere. Emerge molto chiaramente, infatti, che i cattolici non sono formati adeguatamente e c’è ancora una visione molto arcaica di cosa vuol dire essere cristiani. Inoltre non esistono dati certi sulla situazione della famiglia maltese. Occorrono studi seri per affrontare le varie problematiche».

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