A lezione da Biancaneve
Se pensate a Biancaneve, con molta probabilità vi s’affaccerà alla mente l’immagine della dolce fanciulla dell’incantevole lungometraggio Disney. Ma quella originale non è proprio la stessa ragazza. I due fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, a inizio Ottocento, spesero le loro energie di studiosi per raccogliere e mettere per iscritto parte del materiale che costituisce il variegato mondo delle fiabe classiche.
Fra queste appunto Biancaneve, di cui pubblicarono una prima versione nel 1812, cent’anni fa. Essa – al pari di altre fiabe firmate Grimm come Cappuccetto Rosso, Hans e Gretel e Cenerentola – è antichissima ed esiste in varie versioni nelle culture di diversi popoli.
Queste fiabe, formatesi attraverso una tradizione orale, formano un corpus di grande importanza culturale, perché rappresentano il tentativo di aiutare i bambini a maturare verso la vita adulta, attraverso racconti ch’essi potevano intendere facilmente. Erano strumenti di formazione, e in questo senso si differenziano dalla letteratura contemporanea per l’infanzia, che in genere è di svago o educativa.
Lo psicanalista viennese Bruno Bettelheim fa notare che erano veramente fatte per i bambini, parlavano la loro lingua, usavano un approccio indiretto e simbolico, che stimolava l’intelligenza dei bambini, a livello sia conscio che inconscio.
In quei semplici racconti c’era il tentativo di condurli nelle varie fasi di crescita, affrontando temi quali: la voglia e allo stesso tempo la paura di crescere, il desiderio d’indipendenza dai genitori, la paura d’essere abbandonati, il timore del buio, della morte, d’essere indesiderati, di sentirsi cattivi; la rabbia verso i genitori che predicano in un modo e razzolano nell’altro.
Oggi molti genitori – e tanta letteratura per l’infanzia – credono che si debba presentare ai fanciulli soprattutto il lato solare, positivo delle cose. «Spesso vogliamo far credere ai bambini che tutti gli uomini sono buoni. Ma i bambini sanno che loro stessi non sono sempre buoni. Questo contraddice quello che dicono i loro genitori, perciò il bambino si sente, alle volte, un mostro», commenta Bettelheim.
Utilizzando narrazioni spesso cruente e raccapriccianti, fiabe antiche come Biancaneve, permettevano a questi sentimenti di venire allo scoperto, d’essere elaborati nel terreno della fantasia, contribuendo in gran parte a renderli innocui, sminuendone il potenziale distruttivo.
Le fiabe classiche esercitavano inoltre la funzione di preparazione all’incontro con l’altro sesso. Insegnavano che per conoscere la felicità in amore non è sufficiente la realizzazione personale, anche quand’essa è ottenuta attraverso prove difficili come quelle di Cenerentola o Biancaneve; neppure l’amore d’un principe è garanzia di felicità, per quanto bello sia essere amati.
Per poter godere dell’amore esse fanno comprendere che è necessario sia trovare la persona giusta – l’anima gemella –, sia avere la capacità di stabilire con essa un intimo e sereno legame d’amore, in cui si dona e si riceve con reciproco apprezzamento.
Torniamo a Biancaneve. La versione del 1812 dei Grimm, confrontata alla rappresentazione disneyana, è assai più crudele. Intanto la regina cattiva non è la matrigna, bensì la madre di Biancaneve che tenta per ben tre volte d’ucciderla, solo alla fine con la mela avvelenata. Biancaneve non viene svegliata dal bacio del principe, ma dal fatto che la sua bara cadde a terra, e nel contraccolpo sputa il pezzo di mela avvelenata che teneva in gola. La regina-madre-matrigna non muore cadendo da un dirupo, ma, invitata alle nozze, è costretta a indossare scarpe di ferro incandescenti e ballare fino a che muore per il dolore.
Pare la storia meno adatta ai fanciulli, invece i temi che velatamente tratta erano per il bene dei bambini: l’invidia e la gelosia d’un genitore per il figlio; la crescita lontano da casa; la scoperta del bene dietro apparenze insolite (nani); la realizzazione nell’amore; la sconfitta del male.
Ma gli standard morali cambiano coi tempi: già in una versione di poco successiva ai Grimm, la strega non è costretta alla morte, ma viene rinchiusa in una prigione dove è accudita proprio da Biancaneve, perché i buoni non conoscono odio. Insomma, la sfida di insegnare ai figli come affrontare la vita, una volta l’avevano risolta inventando fiabe come Biancaneve. Ora tocca a noi.