A history of violence

Non è il Cronenberg estremo, manifestatosi nelle opere precedenti, l’autore di questa storia ispirata ad un fumetto noir di John Wagner, con la forma di un thriller classico, non privo di colpi di scena e suspense. Tuttavia il suo sguardo, essenziale e gelido, riesce ad imporsi profondamente allo spettatore, portandolo a riflettere sul tema della violenza, che ha voluto, come egli stesso ha spiegato, realistica e brutale, come in una rissa sulla strada. Va detto, però, che le sparatorie sono trattate con rapidità e senza compiacenze. È un regista canadese che denuncia un male della società americana e ciò lo aiuta ad osservarlo dal di fuori, con lucidità. Ma, egli ha ricordato anche che la violenza appartiene alla condizione umana universale e che prenderne coscienza è un fatto altamente responsabile. Mosso da questi inten- ti, David Cronenberg ha scelto di raccontare un caso particolare, quello di un uomo, che ha un passato oscuro, ma che ha deciso di cambiare vita. Lo vediamo sposato con due figli in una cittadina tranquilla degli Stati Uniti, dove è raggiunto da malviventi, che vogliono vendicarsi. Le sue esperte reazioni difensive colpiscono i familiari, che rimangono turbati e contagiati dalla sua veemenza, di cui, peraltro, accettano in pratica vantaggi indiretti. Gli atti violenti sono orientati alla legittima difesa, ma ciò non toglie che essi irrompano con forza sconvolgente. Il film espone alcuni tratti tipici delle abitudini americane: la detenzione delle armi con cui difendersi, l’abilità nell’usarle, la necessità di sopportare la vista del sangue del nemico ucciso. Un corto circuito ossessionante, da cui non è facile uscire, almeno fino a quando non si ricorre a stili di vita assai diversi. Una conclusione non del tutto facile per quegli spettatori, che credono di assistere ad una sorta di western in versione moderna. La possibilità di essere frainteso è, comunque, il rischio che Cronenberg sembra essere disposto ad affrontare nel suo cinema.

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