A giudizio i rapitori di bambini

Dopo anni di denunce, è cominciato il processo contro 34 persone, ritenute responsabili dei rapimenti dei figli dei "desaparecidos", i cittadini "scomparsi" durante la dittatura militare
Estela de Carlotto
A trentacinque anni dall’inizio dell’ultima dittatura militare è iniziato in Argentina il processo contro gli autori del piano di appropriazione dei figli dei "desaparecidos" (scomparsi perché sequestrati dal regime). Sul banco degli accusati figurano importanti figure della repressione di Stato, a partire da due dei capi della giunta militare che si avvicendarono al potere tra il 1976 e il 1983, Jorge Rafael Videla, giá condannato all’ergastolo in un altro processo, e Reynaldo Bignone, che a sua volta sconta 25 anni per il delitto di lesa umanità.

Anche la maggior parte degli altri imputati ha già ricevuto pesanti condanne per la violazione dei diritti umani in altri processi avviati nel Paese per cercare di mettere un punto finale alla questione dei gravissimi crimini commessi durante l’ultima dittatura militare. La riapertura di questi processi ha suscitato un dibattito giuridico. Per alcuni giuristi è possibile l’annullamento di tali provvedimenti vista l’esistenza di importanti vizi d’origine, per altri esperti si tratta di una azione penale retroattiva.

Nel caso dei capi di accusa in questo processo (l’appropriazione, l’occultamento e la sostituzione di identità dei minori di dieci anni), tale polemica non sussiste perché questo delitto non era compreso tra i provvedimenti di amnistia e di indulto che si sono susseguiti nel Paese. Dopo varie decine di processi che hanno giudicato casi singoli, si tratta del primo dibattimento relativo alla pianificazione di questa azione delittiva. Nel caso specifico, si tratta di 34 casi.

Durante la dittatura un importante numero di donne detenute illegalmente si trovava in stato interessante. Queste venivano mantenute in vita fino al momento del parto: successivamente, i neonati venivano rapiti e la partoriente veniva eliminata. In altri casi, invece, bimbi e bimbe in tenera età i cui genitori erano stati eliminati furono rapiti e poi consegnati a "coppie affidabili" dopo averne sostuituito l’identità. 

Sono varie centinaia i figli di desaparecidos che in questo modo persero i propri genitori ed il loro vero nome. Più di un centinaio di queste persone negli ultimi anni hanno potuto ricostruire la propria storia e quella dei propri genitori grazie all’azione della ong "Abuelas de Plaza de Mayo" (Nonne di piazza di maggio), la cui attuale presidente, Estela de Carlotto (la seconda da sinistra nella foto), ha ottenuto numerosi riconoscimenti in Argentina e all’estero.

Il paziente e lento lavoro delle "abuelas" va dalla ricerca di documenti relativi al sequestro dei genitori, alle prove col Dna necessarie per risalire con certezza alla maternità e alla paternità dei ragazzi interessati dai rapimenti. Un lavoro condotto con dedizione, in silenzio e con rispetto. Infatti, non tutti i figli di "desaparecidos" identificati come tali se la sono sentita di conoscere la propria vera identità. In alcuni casi si è verificata una rottura di rapporti con la famiglia adottiva, che spesso aveva legami col regime militare, che aveva nascosto le circostanze dell’affidamento.

La prima denuncia relativa a questi reati venne presentata nel 1996. Le lungaggini processuali, che hanno accompagnato le vicende politiche argentine, hanno protratto l’inizio del dibattimento fino allo scorso 28 febbraio. Nell’ottobre dello scorso anno, chiese di deporre in anticipo, data la veneranda etá di 86 anni, María Isabel Choribik de Mariani, fondatrice delle Abuelas. «Sono più di 33 anni di incertezze – ha dichiarato la nonna a suo tempo –. È una tortura continua, un coltello nel cuore, con la speranza di poter un giorno ritrovare mia nipote».

 Il Paese si avvia così a completare l’azione di giustizia nei confronti di una dittatura che si macchiò di reati di secuestro, tortura e dell’assassinio di circa 30 mila cittadini in condizioni di assoluta illegalità. Sebbene molti fossero legati alla guerriglia, molti altri erano "colpevoli" in realtà solo di attività politica o sindacale. La scomparsa, nel 2006, di Jorge Julio López, un testimone chiave in uno dei processi contro i repressori, getta una ombra sulla cicatrizzazione di questa ferita ancora aperta nella storia argentina.

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