A Giarratana si contempla il mistero

Un intero paese del Ragusano rivive il Natale attraverso “quadri viventi” di intensa suggestione
Presepe Giarratana

L’occasione è fornita dal Natale, che a Giarratana in provinca di Ragusa, si usa onorare in maniera collettiva attraverso un originale "presepe vivente". Ne  sono attori gli stessi cittadini, riappropriatisi (almeno temporaneamente) di luoghi e tradizioni dei loro padri. Ed ecco, al calar della sera e al chiarore di lumi a petrolio e candele, animarsi vicoli, abitazioni e botteghe; ecco riprender vita tutto un mondo, quello tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, tipicamente rurale e artigianale.

 

I visitatori, che accorrono a frotte dai paesi vicini e anche da più lontano, e non solo dalla Sicilia, s’inoltrano a piccoli gruppi lungo un percorso prestabilito nel quale i "quadri viventi" hanno appropriata cornice: sono scene di vita quotidiana e di mestieri vari, realizzate con estrema naturalezza; rigorosa l’ambientazione, con costumi, utensili domestici e attrezzi di lavoro d’epoca. Qua si vedono artigiani intenti ad intrecciare canestri, a modellare vasi, a riparare recipienti di stagno o a scalpellare pietre; là donne che vagliano il grano, infornano pane, ricamano, tessono o torcono lenzuola al lavatoio. Nella sua tipica bottega un barbiere sta servendo un cliente, in un’altra si vendono commestibili d’ogni sorta in una profusione di colóri e di odori. Nella masseria fervono.i lavori contadineschi, dal piccolo pastore che munge una pecora alla contadinella impegnata a custodire una coppia di oche. E intanto animano l’osteria, ben provvista di salumi, formaggi e vini, avventori adulti e giovanissimi, seduti a tavoli rigorosamente distinti. E ancora uno squarcio di vita familiare: moglie e marito attorno al desco, mentre il figlio si scalda ad un braciere.

 

Scene rappresentate in silenzio e da ammirare in silenzio (quei chiaroscuri che richiamano suggestioni di pittori fiamminghi o intimità rurali alla Segantini). Da questo mondo di umili e di semplici si sprigiona una sacralità che tocca il suo calmine nell’ultima scena. Ambientata proprio alla sommità dell’abitato fra i ruderi del palazzo dei marchesi Settimo, popolarmente ‘u castieddu, al contrario delle precedenti la Natività è immobile, pura contemplazione. Scena che tutte le altre riassume. E infatti da quassù, nel buio notturno che l’avvolge, il paese è tutto un palpitare di fianunelle, quasi presenze di un’umanità che ha accolto il mistero del Dio fatto bambino: non più visibile dietro mura e tetti cadenti, ma ormai parte intima di chi ha compiuto questo percorso in ascesa.

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