A Gaeta una grotta tutta d’oro
Dominata dal poderoso castello in perpetuo restauro, quel castello che ne ha visti di assedi (l’ultimo e più formidabile da parte dell’esercito piemontese, tra il 1860 e il 1861), in un inizio di mattino l’antica città marinara mi appare semideserta nel suo nucleo medievale.
Sbarrato è il Duomo anch’esso in restauro, come pure il museo diocesano di Palazzo De Vio, dove avrei volentieri rivisto, tra l’altro, lo Stendardo di Lepanto. Passando invece accanto al complesso della Santissima Annunziata sul moderno lungomare, trovo la chiesa aperta: un’unica maestosa navata che ancora lascia indovinare, sotto la veste di un barocco leggero, le linee gotiche originarie. E qui, dove tutto parla di Maria – dalle tele di Luca Giordano e di Sebastiano Conca, al polittico del Sabatini e del Criscuolo, alle statue devozionali che la raffigurano –, ritrovo sapore di “casa”.
Dalla sagrestia, impreziosita da una splendida Annunciazione di Cristoforo Scacco, si accede al luogo più segreto, cuore di questo tempio e, direi, dell’intera città: è la Grotta d’oro, una cappella rinascimentale così chiamata dal ricchissimo soffitto ligneo rivestito di sfolgorante oro zecchino. Sulle pareti le tavole rappresentanti episodi della vita di Gesù e della Vergine sono opera del Criscuolo, mentre l’Immacolata sull’altare è di Scipione Pulzone, artista locale di recente rivalutato e noto come “il Gaetano”. Ben s’intona all’oro profuso nella volta a cassettoni il biondo delle chiome della sua Vergine orante.
Pregando davanti a questa immagine, papa Pio IX, esule a Gaeta dal 1848 al 1850, fu ispirato a proclamare il dogma dell’Immacolata. Nei tristi e tumultuosi tempi che lo costrinsero a mettersi sotto la protezione dei Borbone, il pontefice volle forse additare come modello di purezza, di fortezza e di ogni altra virtù, nonché come fonte di speranza in ogni traversia umana, l’unica creatura che Dio volle preservata dal peccato originale perché desse alla luce il Verbo.
Gaeta, città di Maria: lo attestano le tante edicole sacre a lei dedicate in epoche diverse e sparse fin negli angoli più remoti del centro antico. Siamo lontani dall’arte e dalla sontuosità della Grotta d’oro, ma anche nelle più umili e povere si ravvisa un segno di quella presenza materna, di quell’ amore di madre.