A cinquant’anni dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII
Il papa, ormai in condizioni drammatiche di salute, non si sottrae a consegnare alla Chiesa e al mondo questo testo straordinario, che con un colpo di penna cancella più di mille e cinquecento anni di giustificazione della guerra, da Costantino in poi. La pace e i poveri con Roncalli tornano ad essere luoghi decisivi per una comprensione rinnovata dell’Evangelo e per una testimonianza cristiana vigorosa e mite del Vangelo di Gesù, messia povero e pacifico.
Il tempo di Roncalli non è stato un tempo di pace. Basti ricordare che nel 1961 nasce il muro di Berlino e nel 1962, a Concilio aperto, si rischia il conflitto nucleare tra Unione Sovietica e Stati uniti sulla questione dei missili a Cuba. Siamo ad appena quindici anni dalla fine della seconda guerra mondiale, dove si sono contati oltre quaranta milioni di persone uccise…
Papa Giovanni è consapevole di tutto questo. E già per il radiomessaggio a un mese dall’apertura del Concilio scrive: «Il Concilio ecumenico sta per adunarsi, a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Per la prima volta nella storia i padri del Concilio apparterranno in realtà a tutti i popoli e nazioni, e ciascuno recherà contributi di intelligenza e di esperienza, a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti, che hanno profondamente mutato il volto di tutti i Paesi».
Il Concilio appare dunque come il mezzo per eccellenza, attraverso cui la Chiesa contribuisce a ristabilire la pace tra i popoli feriti da due conflitti mondiali. In questo modo la Chiesa vuole dare voce e interpretare il bisogno di pace di chi paga il prezzo più alto della guerra, di ogni guerra. Roncalli dice ancora: «le madri e i padri di famiglia detestano la guerra. La Chiesa madre di tutti indistintamente solleverà ancora una volta la conclamazione che sale dal fondo dei secoli e da Betlemme e di là sul calvario, per effondersi in supplichevole precetto di pace».
Roncalli non parte, per giudicare la guerra, da una teologia, che definiva responsabilità e limiti, ma dalle vittime che detestano la guerra e quel grido diventa il grido della Chiesa. Al cuore della crisi di Cuba, il papa non fa la conta dei torti e delle ragioni degli Stati Uniti e della Unione Sovietica. Non si nasconde dietro una antica teologia della guerra giusta, che giustifica le condizioni della guerra. Roncalli si pone dalla parte delle vittime e rivolgendosi a Kennedy e a Chruscev cosi scrive: «Con le mani sulla coscienza, ascoltino essi il grido di angoscia, che in ogni parte della terra, dai piccoli innocenti agli anziani, dai singoli individui alle comunità sale verso il cielo: pace, pace… Facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace: cosi eviteranno al mondo gli orrori di una guerra, di cui nessuno può prevedere le spaventose conseguenze».
Roncalli, quando scrive l’enciclica, ha la consapevolezza di essere stato ascoltato nella crisi di Cuba e dunque la Pacem in Terris vuole essere il suo pensiero sereno sul tema della pace nelle terre del mondo. Non ripropone antiche e astratte teologie, ma prende atto che è cambiato l’orizzonte. Egli dice: «nell’era atomica è irrazionale pensare (alienum est a ratione) che la guerra possa risarcire diritti violati». In quel momento viene spezzato per sempre il legame tra la guera e la giustizia, finisce per sempre l’equazione guerra/giustizia.
Oggi, davanti alla crisi della Siria e al possibile conflitto nucleare tra le due Coree e in molti conflitti a bassa intensità – espressione terribile per indicare una guerra che uccide, ma non troppo -, troviamo in questo papa e in questa enciclica che appare come il suo testamento spirituale la forza per sperare, la forza inerme del Vangelo, che può disarmare i cuori di tutti.
Giovanni XXIII il 10 maggio 1963 ricevendo il premio Balzan dice: «La pace è una casa, la casa di tutti. È l’arco che unisce la terra al cielo. Ma per elevarsi così in alto essa ha bisogno di posarsi su quattro solidi pilastri… Infine per tutti, l’ora della misericordia… Non l’ora della vendetta, della rivincita, della rivalità sanguinose; non più l’ora del ricorso alla forza, che l’umanità rifiuta, che la coscienza cristiana respinge con orrore… Obbedienza e pace; pace e vangelo. Vangelo dell’obbedienza a Dio, della misericordia e del perdono. Ecco il programma che l’umile servo di Dio propone oggi a tutti gli uomini di buona volontà».
Cinquanta anni fa, quel giorno era il giovedì santo e papa Giovanni colloca in quel contesto liturgico e di fede la parola della pace. La Pasqua, la pace, il perdono, la misericordia, l’obbedienza e il Vangelo. Ecco la consegna di una nuova martoria cristiana. Queste parole vanno consegnate ai popoli del Medio Oriente piuttosto che a quelli delle due Coree. Non le armi cambiano la storia, soprattutto quando hanno raggiunto un potere distruttivo senza limiti.
Ma il perdono e la misericordia sono le parole da consegnare al cuore dei conflitti. Senza queste parole, il mondo si perderà. Cinquanta anni fa non tutti capirono il magistero di papa Giovanni sulla pace, ma oggi il testimone è stato ricevuto da papa Francesco e questa parole che Roncalli ci ha donato illuminano il volto della chiesa di papa Francesco.