A che serve un Parlamento?
Quasi 500 milioni di cittadini eleggeranno tra il 4 e il 7 giugno i nuovi rappresentanti al Parlamento Europeo.
Fa sempre un certo effetto constatare come qui da noi in Italia – anche in altri Paesi, ma forse meno – pure le elezioni europee sono “vissute” dal mondo politico, dalla società civile, dai mezzi di informazione in termini di politica interna. Quasi fosse un “referendum” sul governo, o la misura di quanto pesi l’opposizione. L’Europa conta, è vero, anche per la politica interna, ma per altre ragioni: molte decisioni sono ormai prese a Bruxelles piuttosto che nelle capitali nazionali, in materie come il commercio internazionale, le regole del mercato unico, l’agricoltura.
Per questo, è bene capire a che servono queste elezioni, e in che modo ci possono riguardare nella nostra vita quotidiana. Tra il 4 ed il 7 giugno (il 6-7 giugno in Italia) i cittadini-elettori europei (quasi 500 milioni) saranno chiamati a scegliere i loro 736 rappresentanti del nuovo Parlamento europeo. All’Italia spettano 72 seggi, al pari della Francia e dell’Inghilterra.
E qui nasce una prima contraddizione. Per eleggere il Parlamento europeo non si vota su liste veramente “europee”, ma su liste nazionali. In realtà, a parte i gruppi che si formano nel Parlamento dopo la sua elezione (partito popolare europeo, partito socialista europeo, ecc.) non esistono autentici “partiti europei”. Il risultato è che in ogni Paese, anzi in ogni circoscrizione elettorale, l’Europa finisce per entrare “di striscio”, tanto più che in Italia le elezioni europee sono state abbinate a quelle amministrative.
Un secondo problema riguarda la tipologia delle candidature al Parlamento europeo. Per molti anni, non solo in Italia, uno scranno a Strasburgo è stato considerato come un comodo ed innocuo “pensionamento” per politici navigati. Oppure una sorta di “premio di fedeltà” a un partito o a un’alleanza. Da qualche tempo le cose hanno cominciato a cambiare, perché si è compreso che un Paese deve saper difendere i propri interessi, i propri valori, e quelli comuni dell’Europa anche attraverso la presenza di persone preparate e soprattutto motivate. È importante perciò, visto che il sistema proporzionale con la preferenza lo consente, scegliere le persone che sono più attrezzate per potere svolgere davvero il mandato elettorale a Strasburgo.
A questo proposito è utile ricordare che un punto dolente della presenza di deputati italiani al Parlamento europeo è proprio la carenza di… presenza! In altre parole, pur senza fare d’ogni erba un fascio, i parlamentari italiani si sono spesso rivelati tra i più assenteisti.
Ad esempio, nel 2004 l’università tedesca di Duisburg calcolò che nei precedenti cinque anni alle sessioni di voto la presenza italiana era stata del 56,2 per cento, contro l’80,9 dei greci o l’82,5 per cento dei tedeschi.
In quest’ultima legislatura le cose sono in parte migliorate. Secondo una ricerca della London school of economics, i deputati austriaci sono stati i primi della classe (con un’assiduità del 92 per cento) seguiti da estoni, finlandesi e slovacchi, con il 91 per cento. Gli italiani si attestano ancora all’ultimo posto, ma con un 71 per cento di presenze. Quel che è peggio che i grandi “assenteisti” non solo non hanno partecipato a molte sedute, ma nemmeno hanno presentato interrogazioni, risoluzioni, pareri.
Tutto questo, ovviamente, non intende alimentare un qualunquismo alla moda, sul modello generico, generalizzante e dozzinale della cosiddetta “casta”. Al contrario, intendiamo ribadire che il mandato parlamentare è un impegno solenne assunto con gli elettori, e nessuno può dire di fare veramente politica se non svolge fino in fondo il compito per il quale è stato scelto.
Recentemente il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che sprona a rendere pubblico, sul sito web del Parlamento, «attività, partecipazione e presenza dei deputati europei ai lavori parlamentari in termini assoluti, relativi e percentuali». In base al principio della trasparenza e del controllo democratico.
Questa analisi non va fraintesa. Il Parlamento europeo, come tutti i parlamenti, è un’istituzione chiave della democrazia, senza la quale esiste solo il decisionismo unilaterale degli apparati e la tecnocrazia, cioè lo strapotere delle burocrazie.
Proprio quanti ritengono che l’Europa sia fatta solo da polverosi burocrati ben pagati che «stanno a Bruxelles», dovrebbero cogliere l’occasione per iniettare più democrazia nel sistema europeo. E andare a votare! Ricordiamoci infatti che il Parlamento europeo è l’unico organo dell’Unione europea eletto direttamente dai cittadini.
Ed è un organo che nel corso degli anni e con il succedersi dei Trattati (ancor di più se entrerà finalmente in vigore il Trattato di Lisbona) ha visto crescere poteri e ruolo. Non vi è settore importante dell’Unione (tranne purtroppo per la politica estera) in cui il Parlamento europeo (come espressione di una cittadinanza democratica) non sia chiamato a decidere al pari del Consiglio dei ministri (che rappresenta i governi). In altri termini, se il Parlamento europeo non può proporre “leggi europee”, nessuna normativa importante diventa legge senza la sua approvazione. E questo vale per la protezione dell’ambiente, i diritti dei consumatori, la sicurezza alimentare (la qualità del nostro cibo), le pari opportunità tra uomini e donne, i trasporti, la libera circolazione dei lavoratori, dei capitali, dei servizi e delle merci.
La crisi economica e finanziaria globale ci ha insegnato che la tanto criticata Unione europea rappresenta, con tutti i suoi difetti, un esempio di globalizzazione “governata”; ed oggi che si torna a parlare tanto di “regole” per il capitalismo, quanti hanno irriso all’eccesso di regolamenti europei dovrebbero almeno in parte ricredersi. Scopriamo infatti che le regole sono poste a garanzia dei cittadini nei confronti dei “poteri forti” della finanzia e dell’economia. E il tanto vituperato euro ci ha salvati dalla bancarotta. Quello europeo non è il più perfetto dei sistemi, ma senza di esso staremmo molto peggio. Per migliorarlo, facciamo la nostra parte, mandando a Strasburgo parlamentari migliori.
Incompatibilità per gli eletti
Il mandato europeo è incompatibile con l’ufficio di deputato e di senatore, con la carica di componente del governo e con l’incarico di presidente di Regione o assessore regionale. Una legge del 2004 ha introdotto ulteriori incompatibilità con le cariche di consigliere regionale, presidente di Provincia e sindaco di Comune con popolazione superiore a 15 mila abitanti.
Non c’è Europa senza cittadini
Intervista ad Hans-Gert Pöttering, presidente del Parlamento europeo.
Quali sono le prospettive delle prossime elezioni europee?
«Le elezioni europee che si svolgeranno il prossimo 7 giugno rappresentano per noi l’occasione per chiarire meglio a cosa serva il Parlamento europeo e quale sarà il compito dei deputati eletti per un quinquennio. L’Europa e il mondo sono oggi messi di fronte ad una serie di crisi e di problemi: le questioni finanziarie, economiche, sociali e ambientali a cui noi dobbiamo rispondere. A livello europeo, questo sarà il compito dei deputati eletti il 7 giugno. È necessario che i cittadini s’approprino dell’Europa, sappiano che i loro rappresentanti al Parlamento europeo votano ogni mese testi e leggi che hanno un impatto diretto sulla loro vita quotidiana, dalla tutela dei consumatori o della salute, alla promozione delle innovazioni tecnologiche, al sostegno allo sviluppo regionale, indispensabili nella lotta contro la crisi. Noi tutti, media compresi, dobbiamo mettere in evidenza l’importanza del Parlamento europeo, dei poteri legislativi ed economici acquisiti progressivamente da questa assemblea».
Rafforzare l’unità dell’Europa. Come sensibilizzare sempre di più i cittadini a questo scopo?
«Gli elettori dovrebbero comprendere che l’Europa non è affatto una semplice organizzazione geografica, ma una comunità di valori, fondata sulla dignità umana, i diritti dell’uomo, la democrazia, la libertà e la pace. L’unità dell’Europa passa attraverso il rispetto della diversità degli Stati che la compongono. Solo un’Europa forte ed efficace può difendere i nostri valori comuni. Ma senza i cittadini europei, non c’è Europa. L’Europa dei cittadini e la credibilità delle istituzioni europee sono legati. A qualche settimana dalla consultazione, non vorrei che i cittadini votino in funzione degli interessi nazionali, dimenticando l’Europa. Dobbiamo perciò fare un lavoro pedagogico, di “prossimità”, mettere l’Europa al centro delle problematiche e delle scelte degli elettori».
Quale aspettativa le sta più a cuore riguardo alle imminenti elezioni?
«Mi auguro che gli elettori sappiano che il loro voto può influenzare le politiche decise a livello europeo e il modo in cui i nostri valori vengono espressi e difesi nel mondo. Spetta ai cittadini mostrarci il cammino ed indicarci, attraverso il loro voto, le priorità che desiderano vedere difese dai loro futuri deputati europei».
Catherine de Planard