A che serve il papà?
Per rispondere a questa domanda chiediamoci innanzitutto cosa dice la psicologia a proposito dell’assenza della figura paterna. Ebbene, gli studi e le ricerche psicologiche su cosa accade quando il padre non c’è, compiute in maniera sistematica, soprattutto in campo psicosociale, sia per comprendere appieno il ruolo che il padre ha nello sviluppo del bambino, e sia per cogliere le radici di comportamento devianti quali il “vagabondaggio” e la “delinquenza minorile”, che, anche se certamente sono il risultato di più fattori, non ultima la responsabilità personale, spesso trovano origine in quello che è stato definito il “fattore patogeno paterno”.
Tutti questi studiosi concordano sull’idea che anche il padre, e non soltanto la madre, ha un influsso ed una importanza notevole nello sviluppo del bambino. Questo influsso non è soltanto indiretto, in quanto il padre può essere d’aiuto e sostegno alla madre, a cui procura serenità e gioia, che questa poi riversa sul bambino: la figura paterna incide in maniera anche più diretta. Sembra che il padre rappresenti per il bambino la sicurezza, l’ordine, la norma di comportamento, l’autorità. La presenza efficace della figura paterna dà al figlio la possibilità di inserirsi nel gruppo storico a cui entrambi appartengono, mediante la trasmissione di norme sociali, di ruoli, ecc.
Inoltre, specie per i figli maschi, la figura paterna permette di essere vissuta come modello di identificazione di un ruolo maschile attraverso cui si acquisisce così una adeguata identità sessuale. Perciò quando in una famiglia è assente il padre, manca ai figli una figura importante, per cui questa assenza deve, essere compensata, altrimenti è la madre a dover assolvere da sola il compito educativo. È da rilevare anche che, quando il padre è presente fisicamente, può però essere assente psicologicamente. Ricerche approfondite hanno rilevato che è molto più disturbante l’assenza psicologica del padre e di certi suoi atteggiamenti, tipo: il rifiuto, l’indifferenza, la severità, la permissività eccessiva, ecc., che l’assenza materiale, ma anche quando poi il padre viene ad essere assente, non sempre una tale assenza risulta traumatica.
La figura paterna, ricordiamolo sempre, riveste la sua importanza non tanto nelle prime fasi dello sviluppo del bambino ma più avanti nel tempo, quale veicolo di socializzazione, per esempio nella scolarizzazione; per cui si riterrebbero opportune figure paterne sostitutive pedagogicamente valide, tipo: il nonno materno, uno zio affettuoso, ecc. che possano compensare l’assenza. Mi viene in mente l’infanzia del presidente Usa Barak Obama che è stata vissuta tutta a contatto con il nonno materno che era bianco. Ma poi, supponendo che non ci siano queste figure paterne sostitutive parentali, o che non ne siano all’altezza, c’è sempre la possibilità per la madre di prendere contatto con gruppi o comunità familiari, nelle quali il bambino possa facilmente inserirsi e trovare quelle figure sostitutive paterne valide come: il sacerdote, il catechista, l’allenatore di calcio, il maestro, ecc.
Intanto, per quanto riguarda la realtà dei papà che invece sono presenti, oggigiorno assistiamo alla comparsa dei cosiddetti “nuovi papà” che sono teneri e sensibili, che cambiano i pannolini e danno il biberon, alternandosi alle mamme senza ostentazione né imbarazzo. Assistiamo alla comparsa dei padri materni che si intreccia con la crisi della figura paterna tradizionale, dove appunto siamo passati dal padre padrone tiranno all’attuale padre materno quando c’è, perché altrimenti spesso neanche c’è.
E nell’attuale regressione collettiva, tutti sono disponibili a fare la mamma ma nessuno fa più il padre.
Non a caso, la sensibilissima antenna del cinema americano, Hollywood per intenderci, non ha mancato di registrare i mutamenti della figura paterna creando alcuni esempi memorabili di padre materno per esempio “Mrs. Doubtfire” interpretato da Robin Williams nel 1993:con il padre divorziato che si traveste da donna matura per stare con i figli e da maschio inaffidabile si trasforma in efficientissima tata, oppure il film cartone animato della Pixar nel 2003 “Alla ricerca di Nemo”, dove il prototipo della madre ansiosa si fa padre, pesce e cartone animato: in linea con le nuove paternità del terzo millennio.
Nella mia professione di psicoterapeuta frequentemente verifico l’ignoranza diffusa sull’essenza della psicologia dell’amore paterno rispetto a quello materno, molto più noto. Sulla psicologia della maternità, e quindi sull’importanza dell’amore della madre nei confronti del bambino, specie nei primi anni di vita, si sono scritti fiumi di parole, mentre sulla psicologia dell’amore del padre poco o niente. Mi ritrovo quindi a spiegare a entrambi i genitori in cosa consiste psicologicamente essere padri o meglio qual è la funzione psicologica della paternità, e senza tanti preamboli dico loro che tutta la psicologia della paternità consiste essenzialmente in due funzioni psichiche: rassicurazione e incoraggiamento.
All’inizio della vita del bambino la figura del padre appare generalmente più distante e meno incisiva, ma gradualmente si fa sempre più importante nell’educazione del figlio. L’efficacia e la positività della sua influenza è in relazione alla sua disponibilità a essere un buon amico per la moglie, i figli e la società. Deve, in altre parole, avere risolto positivamente i tre grandi problemi della vita: il lavoro, l’amore e la socializzazione. Importante è, per il figlio maschio, la figura paterna per il modello di personalità che può offrire, mentre per la bambina il padre può rappresentare un esempio sintetico di virilità che potrà influenzare il suo futuro rapporto con l’uomo sia sul piano affettivo-sessuale che sociale-relazionale.
Comunque, se la relazione padre-figlio può essere ritenuta meno importante della relazione madre-figlio nei primi anni di vita, in quanto i legami diretti di nutrizione e di cure fisiche sono in genere esplicati in tale periodo prevalentemente dalla madre, non si può, d’altra parte, trascurare il fatto che il padre costituisce un modello importante, con un'importanza che cresce con la crescita del figlio.
Alcuni psicologi hanno addirittura rilevato che la privazione paterna è più importante della separazione materna nel determinare i problemi sociali e relazionali dei figli. E ciò la dice lunga sul fatto che la normale evoluzione psicologica richiede un equilibrio tra la funzione materna e quella paterna.
La “funzione indiretta” ripeto, del padre è quella che esplica come marito, in quanto offre alla moglie l’amore e la sicurezza affettiva di cui essa ha bisogno per essere una madre valida. La funzione paterna indiretta si esercita quindi attraverso le modificazioni affettive ed emozionali prodotte nella madre dal comportamento del marito, perché non si dimentichi che il più grande desiderio che un bambino cova nel suo inconscio non è tanto quello di essere amato, bensì quello di vedere mamma e papà che si vogliono bene.
La “funzione diretta” del padre, invece, deve essere tesa a favorire nel figlio il passaggio da una rassicurazione di tipo statico, acquisita dalla madre, a una rassicurazione di tipo dinamico, in cui il bambino si trova costretto a misurare e a esercitare le proprie forze nascenti di fronte al mondo esterno. Ciò significa aiutarlo a sganciarsi dalla dipendenza rassicurante della madre e accettare i rischi che il processo di maturazione presume, incoraggiandolo.
Rassicurare e incoraggiare sono, come già detto, le due direttrici educative essenziali della funzione psicologica del padre nel suo rapporto col figlio.
C’è un gioco che tutti i papà hanno fatto con i propri figli piccoli: li si lancia in aria e li si riprende saldamente tra le braccia. È un gioco in cui si incarnano gli aspetti del contenimento e della protezione, aspetti specifici sia della rassicurazione che dell’incoraggiamento.
Tra l’altro, Freud era convinto che quando in una famiglia muore il padre, questo avvenimento è più sconvolgente a livello psicologico della morte della madre, perché il padre è l’architrave della famiglia, la colonna psicologica su cui poggia tutta la famiglia, a prescindere che sia stato un buon padre o un cattivo padre. La sua morte significa il venir meno di questo architrave, il venir meno di colui che dà il cognome alla famiglia, mettendo in crisi la famiglia stessa.
Freud stesso sperimentò personalmente questa situazione: sebbene fosse già adulto, medico, sposato, con 5 figli, la morte di suo padre lo sconvolse così tanto che si riprese solo grazie all’autoanalisi attraverso la scoperta dell’interpretazione dei sogni che lo portò a “creare” la psicoanalisi.
Comunque sempre secondo Freud esistono tre mestieri quasi impossibili da svolgere: il genitore, il politico e lo psicoanalista, perché le tre attività umane che ne conseguono: educare, governare e analizzare, sono fonte certa di errori.
Certamente nel fare il padre si commettono non pochi errori, eppure l’esperienza professionale mi dice che sono sempre errori rimediabili.
Sarà che nel mio lavoro di psicoterapeuta cerco di vivere il motto: «ottimismo, sempre e comunque, nonostante la smentita degli avvenimenti», ma quando ascolto le considerazioni non positive sul padre attuale che vengono da tanti miei colleghi psicologi, in particolare sul padre assente per troppo lavoro, sui padri separati “a cottimo” nei week-end, sui padri vittime di incidenti sul lavoro o sulle strade… ebbene lo ripeto, anche in queste circostanze la funzione paterna può essere sempre salvaguardata da figure sostitutive positive come il direttore spirituale, il catechista, lo zio, il nonno, il patrigno, il professore di liceo, il maestro elementare, l’allenatore di calcio…, figure che possono offrire e garantire le due funzioni paterne della rassicurazione e dell’incoraggiamento.