A Cannes non mancano (belle) sorprese

Oltre ai lavori di Spielberg e Woody Allen, al Festival spiccano "Julieta" di Almodóvar, malinconico e mai eccessivo, e "Fiore" di Claudio Giovannesi, storia di un amore tra due giovanissimi in carcere, film d'esordio per i ventunenni Daphne Scoccia e Josciua Algeri
Daphne Scoccia

C’è la paura di attentati e meno gente del solito, d’accordo. Ma Cannes è Cannes e la festa del cinema – con relative star – è al suo centro. La rassegna offre le sue sorprese, per tutti i gusti. Quest’anno c’è lo stupore, un sentimento che non è di moda  in un mondo abituato a tutto e al contrario di tutto. Stupore in chi lavora e stupore nel pubblico.

 

Oltre alla fiaba di Spielberg – Il grande gigante gentile –, al Woody Allen melanconico in Café society (rifugiatosi negli Anni Trenta), ci sono tuttavia dei lavori molto interessanti, si direbbe sorprendenti. Chi era abituato all’Almodóvar iperbarocco, trasgressivo e colorato dovrà ricredersi con Julieta, storia al femminile come sempre. Ma questa volta ombrata di tinte malinconiche, di un clima sospeso. Melodramma del ricordo per il regista ormai sessantaseienne? Julieta, cinquantenne madrilena, racconta attraverso densi flashback la sua giovinezza, l’amore, una figlia. Racconta soprattutto il dolore, che è il tema centrale del film, come via  per una possibile gioia. Ma la strada è lunga e il regista non la evita, come non evita tensioni, paure, gelosie. Non eccede mai in questo romanzo della vita (anche della sua, tra le righe) molto particolare, sovente con una lacrima sospesa sul ciglio. Cinema dunque come verità personale e non finzione.

 

Ed è quanto emerge dallo stupendo lavoro di Claudio Giovannesi – presentato alla Quinzaine des réalisateurs, selezione parallela a quella ufficiale del Festival –, Fiore, con gli esordienti Daphne Scoccia, 21 anni, bravissima, e Josciua Algeri, ventunenne già con un figlio. Lavoro coraggioso perché parla dei sentimenti che nascono dentro un carcere tra due giovani, lei che rubacchia come lui. L’affetto e l’amicizia dietro le sbarre incontrano mille difficoltà, legali e interpersonali: durezza e comprensione si scontrano spesso. Ma i due portano avanti la loro storia con decisione, fuggendo dal carcere verso un dove ignoto, perché il regista non alimenta speranze impossibili. Descrive con rigore quasi un diario giornaliero e mensile che scandisce la vita dentro le mura grigie del dolore.

 

Nessuna retorica, né denuncia, né grido, come invece in tanto cinema nostrano, se non un disperato desiderio di amore. È questo bisogno il vero protagonista delle giovani esistenze, fragili, indifese, violente senza volerlo. Gli adulti faticano a capire: il padre di Daphne (un Valerio Mastandrea al massimo delle capacità attoriali) è un ex detenuto, vive con una rumena, esita ad accettare la figlia per qualche giorno in casa, ma alla fine si rivela capace di tenerezza. Il regista fa "sentire" le emozioni, i pensieri: la voglia di vedere il cielo, la gioia, il primo bacio, la rabbia, l’innocenza anche, che sembrerebbe perduta, ma invece in fondo all’anima resiste. Il film diventa dolorosamente quasi un inno alla vita dei giovani feriti, uno sguardo tenero verso i loro dolori, la loro purezza di fondo, resi con un ritmo scarno, senza orpelli e girato in un carcere vero, e l’aria pressante la si sente.

 

Un piccolo capolavoro. Girato sovente al chiuso, ma non si avverte, con colori tenui e un racconto giocato sui primi piani – frequenti –, in particolare di lei, due occhi che trasudano l’anima. Il cinema italiano forse sta ritrovando la strada del sentimento vero, dopo un lavoro riuscito, come il film di Virzì La pazza gioia. In uscita il 25 maggio a Roma e a Milano, dal primo giugno in tutta Italia.

 

Non è un capolavoro, ma un divertissement  con punte grottesche, ambientato nella Los Angeles libertina degli anni Settanta, The Nice Guys di Shane Black con Russell Crowe e Ryan Gosling. Un investigatore privato (Gosling) parolaio e perdigiorno,  padre di una ragazzina che ha molto più buon senso di lui, e un detective senza scrupoli e manesco (un ingrassato Crowe), si alleano per  trovare, con la promessa di un guadagno notevole, Amelia, una ricca ragazza scomparsa. Polizia corrotta, mafia, delinquenti e delinquentelli, donnine e locali alla moda sono gli ambienti che danno vita a una scanzonata parodia dei generi:  thriller, polizieschi, James Bond, Mission impossible, Captain America e amici. Una sarabanda tirata un po’ troppo sulle lunghe, ma divertente, anzi talora esilarante tra pugni e risate. La sorpresa è l’affiatamento tra le due star, perfetto, la voglia di prendersi in giro e di prendere in giro Hollywood e i suoi prodotti. Non è poco per un film che vedremo il primo giugno.

 

A Cannes quindi non solo storie tragiche o convulse, ma anche sprazzi di luce.

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