A Cannes l’Italia non c’è
E così i nostri cugini ci hanno bocciati, come titola il Corsera. Dall’11 al 22 maggio in gara non ci sarà posto per noi. Dopo il trio (Moretti, Sorrentino, Garrone) dell’anno scorso, stavolta si digiuna. Non troppo, comunque: in giuria c’è Valeria Golino, nella sezione Un Certain Regard ci sarà Pericle il nero di Stefano Mordini con Riccardo Scamarcio e non conosciamo ancora se Virzì, Giovannesi e Comodin saranno raccolti nella Semain de la Critique. Al contrario, tra i venti film in gara per la Palma d’oro, ci saranno i soliti Almodòvar (con il suo ventiduesimo Julieta), Ken Loach (“I, Daniel Blake”), i Dardenne (“La fille inconnue”), Dumont (“Ma Ioute”), l’apertura con Woody Allen, ma fuori concorso (“ Cafè Society”), e poi gli Usa, il Brasile, la Germania, la Romania. La Francia dovrà accontentarsi – si fa per dire – di soli (!) quattro film, dopo l’ingordigia degli anni passati.
Noi, in Italia, al solito, facciamo le vittime. Ci si lamenta dell’esclusione di Bellocchio e di Andò (quest’ultimo ha girato davvero un bel film) e Salvatores e si perpetuano le analisi e le lamentele sul cinema nostrano che vive un “momento di transizione”: questo momento pare sia da (quasi) sempre.
Certo, da noi le commedie sono al capolinea, illudersi è inutile: una scorsa ai prodotti degli ultimi due anni – non facciamo nomi, per carità di patria – lo conferma e il successo di Zalone, meritato, non va troppo sopravvalutato come rinascita del cinema del Belpaese. La voglia di novità esiste e lo dimostrano lavori come Veloce come il vento – ancora in sala -, Lo chiamavano Jeeg Robot, Il giovane favoloso, Le confessioni…
Tuttavia, quello che sembra carente è l’anima. I nostri autori hanno piccole anime: anche i più quotati come Sorrentino o Garrone che sono sopra tutto grandi esteti, ma lo spessore umano e di contenuto dei loro lavori non pare proporzionato alla cura di un perfezionismo fascinoso. E' gusto “neo-decadente”. Si potranno citare delle eccezioni, come l’ultimo Moretti, ma è troppo poco.
Per questo, anziché vittimizzarsi, occorrerebbe uscire dai clichè come dai circoli produttivi chiusi in sé stessi – sempre gli stessi interpreti, fra l’altro, di film anche ovvi, con il sostegno dei Beni culturali! – e riflettere sulla vera Italia, non quella mediatica. Servirebbe tornare a parlare dei grandi temi delle vita, senza strizzare l’occhio alle ideologie del momento – tipico difetto italiano e non solo. Uno sguardo a certo cinema straniero – si pensi solo all’ungherese Il figlio di Saul, allo spagnolo Truman, in arrivo – non farebbe male. Insomma, c’è da maturare, caro cinema italiano, affrontando la fatica. Ci riusciremo?.