A bocca… Aperta
“Mio figlio di quasi 3 anni ha l’abitudine di usare il succhiotto per addormentarsi, ma nell’ultimo periodo lo richiede anche durante il giorno. Il pediatra, riscontrato un aumento dello spazio tra le due arcate dentarie, definito come “morso dentario aperto”, ha consigliato di eliminare il ciuccio al più presto. Noi non riusciamo a seguire questo consiglio, perché lui lo pretende. Cosa fare?”. Papà di Giovanni L’uso del succhiotto è tra le pratiche comuni sulle quali è difficile trovare un accordo. Le Società Scientifiche di Pediatria non ne incoraggiano l’uso, soprattutto perché appare non facilitare l’importantissima e senz’altro salutare pratica dell’allattamento al seno nel primo anno di vita. D’altronde il “ciuccio” viene considerato dai genitori uno strumento utile e a volte indispensabile per tranquillizzare il bambino in attesa della poppata successiva o in condizioni di particolare stress. Se viene tenuto in bocca per molte ore al giorno, soprattutto dopo l’eruzione dei primi dentini, lo spazio tra l’arcata dentaria superiore ed inferiore diviene più ampio: ecco il “morso dentario aperto” di cui si parlava. Quest’ultima condizione appare comunque transitoria, risolvendosi generalmente senza conseguenze se il succhiotto viene tolto intorno al terzo anno di vita. Quali consigli? La mia opinione è che, se utilizzato in un ambiente familiare sufficientemente “empatico”, che si ponga l’obiettivo di cogliere i messaggi che il bimbo vuole dare più che attenersi all’aggiornato manuale per divenire genitori super (sigh!), il ciuccio può essere usato serenamente nei primi due anni, puntando però a che venga gradatamente eliminato e comunque limitandone l’utilizzo alle fasi immediatamente precedenti l’addormentamento. Alcuni accorgimenti per ridurre l’abitudine al succhiotto: eliminare la catenella allacciata alla maglietta (in modo da renderne meno automatico l’uso durante il giorno), o sfilarglielo dalla bocca appena addormentato. Nel caso di Giovanni mi sembra comunque di capire che il succhiotto è diventato un po’ come la coperta di Linus, un oggetto che gli fa compagnia, importante per lui. Spiegargli a parole perché non deve usarlo ha avuto finora poco successo: diversa è la prospettiva con cui Giovanni legge la realtà che lo circonda, e gli è difficile capire perché ora viene proibito quello che fino ad ieri era incoraggiato, che tra l’altro è parte essenziale del suo mondo. Vi è allora da fare uno sforzo supplementare per far si che da questo “conflitto” si esca tutti vincitori. Una possibile strada prevede due momenti. Nel primo ci si dovrebbe sforzare di guardare il problema dal punto di vista di Giovanni, cercando di comprendere le dinamiche e le emozioni che possono legarlo a quel semplice oggetto, casomai andando con la memoria ad episodi analoghi della vostra infanzia, comunque non banalizzando o sottovalutando il suo atteggiamento. Senz’altro sarebbe controproducente usare frasi del tipo “oramai sei grande” oppure “ti devi vergognare che lo usi ancora, il fratellino già non l’usava alla tua età”, che avrebbero l’effetto di ridurre nel bambino l’autostima o di fargli nascere sensi di colpa. L’altro momento essenziale sarebbe discutere di questo problema seriamente all’interno della coppia, con il coraggio di dirsi apertamente (prima a sé stessi e poi al partner!) anche gli eventuali sensi di colpa per la cattiva abitudine del bambino, o le paure che il rimprovero del medico ha suscitato, ecc”, cercando insieme le possibili soluzioni. Trovata una strategia di intervento condivisa da entrambi, con i modi e le opportunità che la vostra sensibilità vi suggerirà si punterà comunque a dimostrargli che lui con i suoi sentimenti e le sue emozioni sono per voi importanti, in un atteggiamento non di predica o o di giudizio ma di condivisione e rispetto a lui come persona (anche se ha solo 3 anni). Si tratta di trovare il sempre faticoso e delicato equilibrio tra le responsabilità di essere genitori e il dovere assumere decisioni e porre “paletti” con l’altrettanto prioritario dovere di essere per lui amore, riflesso di quell’amore infinito che Dio Padre ha per ciascuno di noi.