Unrwa vietata in Israele e il piano per rendere Gaza una “riviera”

Due nuove leggi vietano all’Unrwa di operare in Israele. L’effetto sarà devastante per l’afflusso di aiuti umanitari alla popolazione palestinese, non solo a Gaza, anche in Cisgiordania. Una situazione che favorisce il piano Trump per svuotare la Striscia di abitanti e macerie, e trasformarla nella “Riviera del Medio Oriente”.
Gaza dopo i bombardamenti israeliani. Foto Ansa EPA/HAITHAM IMAD

Unrwa è l’acronimo di “Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino Oriente”. Due leggi israeliane anti-Unrwa sono entrate in vigore il 30 gennaio scorso: erano state approvate dalla Knesset (il Parlamento israeliano) il 28 ottobre 2024, a larga maggioranza: avevano votato contro solamente i partiti arabi israeliani.

La prima legge vieta all’Unrwa di operare in territorio israeliano, e sancisce che l’organizzazione dell’Onu «non opererà nessuna missione, non fornirà alcun servizio e non farà nessuna attività – direttamente o indirettamente – nel territorio sovrano dello stato di Israele». La seconda legge toglie all’Unrwa le esenzioni fiscali, priva i suoi dirigenti stranieri dell’immunità diplomatica (e del permesso di soggiorno) e impedisce a tutti i funzionari dello stato israeliano di avere qualsiasi contatto con l’Unrwa.

Un esempio immediato, uno solo, di cosa comporti questo veto anti-Unrwa? La banca israeliana Leumi avrebbe già bloccato 2,8 milioni di dollari in un conto di proprietà dell’Unrwa. Su un altro versante, quello statunitense, il neo presidente-bis Donald Trump ha “decretato” il 4 febbraio l’uscita degli Stati Uniti dal consiglio Onu per i diritti umani e il blocco dei fondi Usa all’Unrwa. Un’ottimo supporto per realizzare l’auspicio trumpiano di “trasferire temporaneamente” (per una decina d’anni, forse 20) per “motivi umanitari” dalla Striscia di Gaza tutti i palestinesi ancora viventi e fare della martoriata terra di Gaza una spiaggia di lusso. Per realizzare e gestire questa “riviera del Medio Oriente” gli Stati Uniti si sono generosamente offerti. C’è da ridere per non piangere.

Un punto che è necessario individuare è il bacino di utenza palestinese dell’Unrwa. Si tratta di 1,7 milioni di “rifugiati palestinesi” nella Striscia di Gaza, altri 870 mila tra Cisgiordania e Gerusalemme Est. Altri 3,5 milioni, sempre di “rifugiati palestinesi” sono assistiti dall’Unrwa in Giordania, Libano e Siria.

Va precisato che Cisgiordania e Gaza non sono “territorio sovrano” di Israele (secondo il diritto internazionale, non così per i neo-sionisti più radicali), bensì territori occupati: ma senza passare attraverso i checkpoint israeliani non si arriva praticamente in nessun territorio palestinese, se pure ne esiste ancora qualcuno che non sia stato sequestrato da coloni ebrei o pesantemente bombardato.

L’effetto di tutto ciò sarà con ogni probabilità devastante per l’afflusso di aiuti umanitari (alimentari, carburante, medicine, ecc.) alla popolazione palestinese, e letale per quelle attività di sostegno ai civili palestinesi (ospedali, scuole, ecc.) che ancora restano in qualche modo in piedi.

Perché l’Unrwa è un’organizzazione che si avvale del lavoro di circa 32 mila persone (quasi tutti civili palestinesi), delle quali circa 13 mila nella Striscia di Gaza. Secondo i sostenitori (di vari paesi) della linea Netanyahu-Trump, l’Unrwa sarebbe anche un carrozzone troppo costoso, ed è tempo di smantellarlo.

Il pretesto accampato da tempo (ben prima del 7 ottobre 2023) da Netanyahu e dal suo governo per estinguere l’Agenzia Onu in Israele è che l’Unrwa accoglierebbe tra i suoi dipendenti molti “terroristi” di Hamas e della Jihad islamica. Molti, ma quanti? Ci sono varie versioni. Secondo Oren Marmorstein, portavoce del ministero degli Esteri israeliano, più di 2.135 dipendenti dell’Unrwa sarebbero membri di Hamas o della Jihad islamica palestinese.

Il portavoce del governo israeliano David Mencer, da parte sua, sostiene che l’Unrwa, “impiega oltre 1.200 membri di Hamas”, e aggiunge che l’Agenzia Onu “non è un aiuto, è un sostegno finanziario diretto al terrore”.

Secondo la commissione d’inchiesta Colonna delle Nazioni Unite, invece, alle numerose richieste di fornire prove per queste accuse, il governo israeliano non ha dato risposta. Se si esclude un documento rigorosamente ufficioso di 6 striminzite pagine che parlerebbe di 190 dipendenti Unrwa sospettati di essere collaboratori di Hamas.

Alla fine, pare che l’Unrwa abbia individuato fra i propri dipendenti una dozzina di persone implicate a sostenere in qualche modo Hamas. E fin da gennaio 2024 questi dipendenti sono stati licenziati.

In realtà, il centro del problema sembra quello indicato emblematicamente in una intervista alla Cnn da Yulia Malinovsky, deputata di Israel Beitenu, partito israeliano di destra: “L’Unrwa riempie (i palestinesi) di storie sul fatto che potranno ritornare in Israele. Questo non succederà”.

In sintesi, la campagna del governo israeliano contro l’Unrwa avrebbe come obiettivo reale quello di estinguere ed eliminare lo “status speciale” che l’Unrwa (e tutto l’Onu) attribuisce ai profughi palestinesi, compresi quelli nati nella diaspora dopo la Nakba del 1948. E rendere talmente impossibili ai “profughi palestinesi” che si trovano in Israele (e Palestina) le condizioni di vita, da spingerli a lasciare “spontaneamente” i territori in cui vivono oggi e in cui hanno vissuto i loro antenati negli ultimi secoli. Scongiurando anche così, e per sempre, l’idea che possa esistere uno Stato Palestinese. Poco importa dove andranno alcuni milioni di palestinesi, privi non solo di una patria ma anche del formale titolo di “profughi” e, soprattutto, del diritto di sperare.

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