Europa, vera unità politica per non crollare
Il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, ha più volte lanciato in questi mesi l’idea di una Calmandoli europea. È urgente, infatti, elaborare, come nel 1943, una “visione” per ricostruire e rilanciare l’Unione europea, baricentro di un mondo multipolare, per la difesa della democrazia e della pace. È necessario, perciò, il contributo e il dialogo con intellettuali, non solo cattolici, e il mondo politico.
Il filosofo Mauro Ceruti ha affermato: «Gli europei non sono più al centro del mondo ma possono diventare fucina di un umanesimo planetario imperniato sulla coscienza della comunità di destino di tutti i popoli» (L’Eco di Bergamo, 8 giugno 2024).
In questo passaggio storico, però, o si farà davvero l’Europa unita politicamente dopo l’Euro, sul piano della politica estera e di difesa comune, oppure essa morirà dopo una lenta agonia a causa del ritorno dei nazional populismi e sovranismi.
Il Vecchio Continente si trova in un punto decisivo della sua breve storia. La crisi finanziaria del 2008, la Brexit nel 2016, la pandemia nel 2020, l’aggressione russa all’Ucraina nel 2022, hanno posto l’Europa davanti a un bivio: diventare una vera Unione politica con cessioni di sovranità ulteriori ad una entità sempre più federale o morire.
Il virus-killer si chiama sacralizzazione dell’identità nazionale e dei confini. In tal modo viene bloccato il progetto di un’Unione politica per rimanere poco più di un’area di libero scambio economico.
La mission dell’Europa unita è invece esportare nel mondo un nuovo concetto di umanesimo come difesa dei diritti umani, parità uomo-donna, democrazia partecipativa e deliberativa, pace, uguaglianza-libertà-fraternità.
La Comunità europea stessa è nata sul superamento dei confini come fonte di contesa per mettere in comune risorse economiche, creare istituzioni sovranazionali alle quali cedere sovranità per superare guerre secolari.
Esportare questa storica esperienza è la sua sfida in Africa, Sud America, Asia. «Siamo un laboratorio per un possibile governo politico, policentrico e multilaterale», come afferma Mauro Ceruti. Dobbiamo pertanto diffidare di chi ritorna ad un concetto romantico di nazione, perché il vero obiettivo è risacralizzare i confini e tornare indietro verso una semplice Europa dei popoli smontando il lavoro di decenni.
Di fronte ad una accelerazione della Storia con le crisi globali, serve un’Europa della forza espressa in umanesimo, prosperità, sostenibilità sociale e ambientale. Questa è la migliore risposta possibile di fronte alla minaccia di una guerra nucleare e del riscaldamento globale: l’Europa come fucina di un nuovo umanesimo globale, in una comunità di destino comune planetario di tutti i popoli della Terra-Patria.
È un esercizio difficile che consiste nel conciliare la dimensione nazionale con quella sovranazionale. Da un lato i cittadini esprimono la volontà popolare attraverso partiti sovranazionali nell’elezione del Parlamento europeo, dall’altro partecipano con la mediazione dei governi nazionali alle politiche della Commissione e del Consiglio europeo. Il risultato è un’inedita democrazia sovranazionale. Questa cooperazione costituente tra cittadini e Stati potrebbe essere portata fino a livello cosmopolitico. In tal modo diventeremmo davvero “cittadini del mondo” in una comunità cosmopolitica.
L’Europa “provincia globale” può così dare un contributo determinante nel governare i disordinati processi di globalizzazione economica, nel risolvere il problema del clima con una transizione dalle energie fossili a quelle rinnovabili, nel superare gli eccessi del neoliberismo e del dirigismo statale con un giusto mix di pubblico e privato nella costruzione di un welfare comunitario, nel realizzare un equilibrio efficace con gli ecosistemi.
Se l’Europa non fa questo salto verso una vera democrazia sovranazionale, diventerà ininfluente con i suoi piccoli Stati nazionali di fronte a giganti come Usa, Cina, Brics. Si tratta di superare l’immagine di un’Europa tecnocratica, burocratica, legata ai dogmi dell’ortodossia finanziaria. La tecnica infatti non può prevalere sulla politica senza bloccare il processo di integrazione politica. Non possono essere gli Stati nazionali a prevalere nelle decisioni di politica estera e di difesa comune.
L’Europa non è solo un territorio, è una civiltà in continua tensione nella storia tra unità e molteplicità, tra diversità e identità. Per questo deve capire che dal ‘500 in poi è perno dei processi di globalizzazione. Si tratta, in fondo, di tornare all’imperativo cosmopolitico kantiano ricordando quel “mai più ” dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, su cui si fonda la nascita dell’UE.
Come a Camaldoli nel 1943, è necessario immaginare la pace ed elaborare una visione per la ricostruzione dell’Europa dopo una serie di guerre e crisi globali. Ora siamo come sonnambuli sull’orlo dell’abisso, ma possiamo uscire insieme da questo rischio con la consapevolezza che “nessuno si salva da solo”. Per questo serve un umanesimo planetario. Hiroshima 1945 ci deve ricordare che è possibile, per la prima volta nella storia, l’auto-annientamento globale dell’umanità. Tutti gli uomini sono legati dagli stessi problemi di vita o di morte dentro una comunità di destino planetaria. Si parla addirittura di utilizzo di armi nucleari tattiche in guerre locali. La “Modernità” sta arrivando al suo epilogo con una “policrisi” che rischia di trasformarsi in “policatastrofe”. Edgar Morin vede in questo stato di cose una duplice impasse: «L’impotenza del mondo a diventare mondo e l’impotenza dell’umanità a diventare umanità». Non funziona più il paradigma dell’io vinco, perdi tu dei giochi a somma zero. Qui tutti perdono, considerando rischio atomico e climatico.
Per la prima volta l’umanità è obbligata ad uscire dall’età delle guerre e dello sfruttamento irresponsabile dell’ambiente. A questo riguardo si leva alta la voce di papa Francesco: «Non è tempo di indifferenza: o siamo tutti fratelli o crolla tutto». Abbiamo un destino comune perché abitiamo in un mondo in cui tutto è in relazione. Un nuovo patriottismo, fondato su fraternità universale e Terra-Patria, deve sconfiggere i nazionalismi risorgenti. Siamo sull’orlo di un precipizio, ma possiamo salvarci con un salto nella cultura dell’incontro, della pace, della salvaguardia della natura.
Papa Francesco, in occasione della Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2025, sul tema “Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la pace”, ci invita ad «ascoltare il grido dell’umanità per rompere le catene dell’ingiustizia». L’umanità è minacciata: ascoltiamo il suo grido in occasione del Giubileo della Chiesa cattolica. Afferma papa Bergoglio: «Mi riferisco in particolare alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione consapevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare».
Si tratta di un cambiamento culturale perché siamo tutti debitori. Viene avviato un cammino di speranza con tre azioni possibili per ridare dignità alla vita di intere popolazioni: «Consistente riduzione, se non proprio totale condono, del debito internazionale; sviluppo di una nuova architettura finanziaria fondata sulla solidarietà e l’armonia tra i popoli; rispetto della dignità umana dal concepimento alla morte naturale; eliminazione della pena di morte in tutte le Nazioni; un Fondo Mondiale che elimini definitivamente la fame». Queste azioni possono favorire il raggiungimento della meta della pace nel 2025 dopo tre anni di guerra in Ucraina e un anno e mezzo a Gaza.
In primo luogo, bisognerà disarmare cuori e menti con una rivoluzione culturale in direzione di un nuovo umanesimo planetario, come abbiamo visto. «Infatti, la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato» (papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace).
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