Un Caravaggio inedito
È davvero lui monsignor Maffeo Barberini in quello che da cardinale e da papa sarà la sua reggia, un palazzo enorme al centro di un parco stupendo di cui oggi rimane solo la Fontana del Tritone.
Il prelato è sui trent’anni, ha l’occhio intelligente, la fronte alta e luminosa, i gesti eloquenti delle mani: in una, il biglietto di nomina a Chierico della Camera Apostolica, nell’altra, l’indice rivolto ad un ignoto osservatore.
E poi l’impostazione monumentale sul fondo neutro, ma che si apre alla luce e la meraviglia del vestito: la mantelletta blu sulla veste di lino candida con quelle pennellate che sembrano scudisciate e che fanno sobbalzare il tessuto in tocchi di luce. Il personaggio è avvolto da un morbido chiaroscuro. Ed ecco a noi l’uomo colto, imponente, ambizioso, ma cordiale, simpatico. Grande amante della cultura, come lo rivelerà da pontefice.
Un ritratto parlante, uno dei pochi superstiti nella attività del pittore. Per ritrovarne un altro, occorre spostarsi più avanti, in quello del Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di san Giovanni di Malta Adolf de Wignacourt (Parigi, Louvre, 1608 circa): l’uomo d’armi regge lo scettro del comando, affiancato da un paggio biondo che ci guarda un po’ impaurito, il volto barbuto maschio e deciso. Oppure, un altro Cavaliere di Malta (Firenze, Pitti), probabilmente lo stesso Wignacourt in una versione meno imponente, con lo spadone dei cavalieri e l’invenzione mirabile della croce di tela sulla casacca a riempire il petto come un fiore abbagliante.
Caravaggio ritrattista è sempre essenziale, ama i dettagli ma scarsi e vivi. Succede pure nel Gentiluomo di New York (Collezione privata, 1604-1605) spendente nella gorgiera inamidata, nel volto pieno e deciso, la mano molle e quel lume che crea la personalità, emergendo dal buio fitto.
Torniamo al ritratto Barberini ora visibile finalmente da una collezione privata, e databile al 1599-1600 o, secondo altri, a qualche anno più tardi. Un lavoro perspicace, reale, perché Caravaggio non imbroglia mai. E non delude. Da non perdere.
Roma, Palazzo Barberini, fino al 27/2.