La politica degli slogan

Le dichiarazioni politiche fatte per far rumore sono sempre meno seguite da fatti precisi. Che c'entrano i social?

Non passa giorno senza che qualcuno dei politici più in vista nel panorama politico internazionale faccia qualche dichiarazione roboante che preconizzerebbe cambiamenti epocali per una buona fetta di umanità. Ogni Paese ha il suo Trump: non si tratta solo di una questione statunitense. Sì, certamente la fantasia del presidente di ritorno alla Casa Bianca è forse insuperabile, riuscendo a evocare l’inferno per Hamas se non rilasciasse gli ostaggi, la semplice (si fa per dire) occupazione militare per Groenlandia e canale di Panama, oltre che una non meglio definita poderosa pressione economica sul Canada perché diventi l’ultimo membro degli Stati Uniti d’America.

Qui da noi, la via era stata tracciata da Berlusconi, visionario imprenditore che considerava la legge qualcosa da cambiare a proprio favore, dalla Legge Mammì in poi, mentre un altro esempio di personaggio dalle ripetute e proverbiali incontinenze verbali è stato il brasiliano Bolsonaro, e sulla stessa scia possiamo pure considerare l’argentino Milei, il filippino Duterte, il thailandese Thaksin Shinawatra, oppure il presidente attuale nordcoreano e il suo omologo del sud. In Africa c’è solo l’imbarazzo della scelta: promettere costa poco, costa di più progettare e realizzare.

Al di là dei singoli casi, ognuno dei quali meriterebbe un discorso a parte e un’adeguata contestualizzazione, non si può non constatare come la rivoluzione digitale, in particolare la comunicazione e l’informazione social, abbia infranto la barriera tra pubblico e privato, permettendo un contatto diretto tra politici ed elettorato, consentendo a chi ne ha la capacità di trasformarsi in showman, con la leggerezza loro propria, mettendo fine alla pesantezza del linguaggio politico paludato, comprensibile appieno solo dagli addetti ai lavori. Il politico di successo ormai è più un ripetitore di slogan e un amplificatore di formule atte a colpire l’opinione pubblica senza approfondimento alcuno che un noioso ma preparatissimo professionista della politica.

Si aprono così le porte alla politica della pancia, più che della testa o del cuore. Il ritmo incalzante delle news, che mantiene viva per qualche momento l’attenzione del cittadino, è tale che non c’è più da preoccuparsi per la corrispondenza con la realtà di quel che si dice, e tantomeno se le promesse vengano poi mantenute: chi controlla? chi sanziona? chi verifica che quanto detto corrisponda al vero? Mark Zuckerberg non ha messo fine al suo ambizioso progetto di fact checking con il suo impero social, cioè il controllo della veridicità dei milioni di post che in ogni istante vengono pubblicate sul suo network da tre miliardi di utenti: Facebook, Instagram, Whatsapp? In un pietoso spettacolo, ha calato le braghe di fronte a Trump e Musk, accettando il principio − smentito dai fatti − che la Rete abbia la capacità di autoregolarsi per raggiungere la verità o la presunta verità. Importa cioè quello che credo sia vero, non quello che è vero. Un dettaglio: il ceo di Facebook aveva al polso un orologio da quasi un milione di dollari, cosicché nei social si è parlato più del watch che del fact checking.

Intendiamoci, la rivoluzione comunicativa e informativa prevista dai grandi pensatori di 80 anni fa − da Mc Luhan a Debord − sta arrivando a maturazione. La visibilità, l’apparire, il mostrarsi sono diventate le leggi fondamentali del mestiere comunicativo e informativo. Di per sé questa tendenza non è un male, tutt’altro: meglio il parlare franco è un po’ sguaiato della Meloni o quello incomprensibile dei tenori democristiani dell’epoca? Si può discuterne. Se poi questa visibilità diventasse “bella”, ecco che si ricomporrebbe la triade fondamentale di ogni religione o di ogni filosofia: il vero, il buono e il bello. Di questi tempi, è vero, siamo ubriachi di visibilità che vorrebbe diventare bella e che si impegna in goffi tentativi per diventarlo; ma, prima o poi, le cose si riequilibreranno, e il bello non potrà sussistere senza il vero e il buono. Le tempistiche di un tale processo, purtroppo, non sono ancora conosciute.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons