Nadia, una luce diffusa in una vita donata

La sofferenza vissuta in comunione è l'esperienza di una donna che ha fatto suoi grandi ideali
(ph Freepik)

Talvolta, l’incontro con altre vite e altre esperienze avviene in modo casuale e imprevisto. Sempre la narrazione di una presenza, di una assenza, muove cuore e mente alla ricerca di senso, di una goccia di speranza, di un «ecco, vedi: è possibile, non tutto è buio e dramma o sofferenza».

La vita di Nadia, il suo nome reale, si sviluppa nella normalità e nelle trame spesso complesse, in una importante città del Nord-est. Assume contorni solenni davanti alle scelte difficili che, per amore, diventano sublimi nel nascondimento e avvolgono tutti coloro che condividono, per dono della vita, le salite al monte da cui poi Nadia ha spiccato il volo, lasciando tutti, pur nel dolore, nella pace.

Una comunità si stringe attorno a lei e, come accade spesso, ne esce rinfrancata. Il dolore della madre che rassicura l’oncologo che farà, sì, tutte le terapie anche dolorose, perché bisogna star bene per i figli… si fa dolore di tutti e tutte, in cordata. Chi incoraggia e illumina la strada alla fine è lei, Nadia, che chiede a tutti di splendere e continuare a vivere la fiducia in un Dio comunque crocifisso. Ma in croce per poco, solo fino al terzo giorno.

Ricordi
Emanuela racconta:

«Lavoravo in ospedale negli anni ’80, in radioterapia, quando avevo avuto modo di interagire con la segretaria del reparto, Nadia, una donna dolcissima e sempre disponibile. Non mi sono stupita quando abbiamo scoperto di avere in comune la stessa scelta di vita cristiana: anche lei si impegnava a vivere la “parola di vita” che nel Movimento dei Focolari ogni mese aiuta a mettere a fuoco l’impegno di una vita secondo il Vangelo. Si era creata così una sorta di complicità che ci permetteva di toccare con mano quanto poteva fare la differenza vivere a contatto con i pazienti, con la disponibilità che una scelta di valori così alti suscitava.

Paolo, un amico comune, l’aveva introdotta in un gruppo di aderenti al Movimento che condivideva l’impegno di vivere il Vangelo, creando una intensa comunione spirituale e umana che le era stata poi di grande aiuto nei momenti complessi vissuti in famiglia, e che l’avevano sostenuta nel conservare l’armonia fra marito e i due figli, pur vivendo con grande sofferenza la separazione dal coniuge.

Per me questa scelta è stata il capolavoro della sua esistenza, che, in tempi conflittuali come i nostri, può solo aver portato pace ai figli e a tutta la sua famiglia. E probabilmente aveva donato molta forza anche a lei, che in anni recenti aveva dovuto affrontare una grave malattia. Mi disse all’epoca che avrebbe iniziato le chemioterapie, ma che era serena, perché era certa che Dio l’avrebbe sostenuta anche ad occuparsi del figlio Massimo che aveva bisogno di attenzioni particolari. Subito è partita per lei una rete di aiuto per portarla a fare terapie e controlli e mai l’abbiamo vista vacillare. Lei, così apparentemente fragile, continuava a incoraggiarci con fede: “Tutto ci accade per il nostro bene!”».

 Lucia racconta:

«Ho cominciato ad andare a trovare Nadia nel maggio di quest’anno quando era stata ricoverata all’Opsa, una struttura che accoglie persone in difficoltà e anziani. Non chiedeva nulla per sé, era docile e serena, era una ricchezza incontrarla e condividere alcuni momenti con lei. La sua serenità era anche determinata dalla certezza che i suoi due figli avessero trovato la loro strada: Mirko aveva una bella famiglia con 4 figlie; Massimo era stato accolto da pochi mesi in una casa famiglia, dove si trovava bene.

Sapeva di aver riposto la sua fiducia in Chi non li aveva mai abbandonati e affermava sicura che aver condiviso con tante persone il cammino proposto dal Vangelo, le aveva donato una nuova vita.

A fine luglio di quest’anno, Nadia si era aggravata e così abbiamo cercato di essere presenti tutti i giorni, alternandoci con i familiari, che poi ci hanno chiesto di partecipare al rito dell’estrema unzione. Ci siamo così sentiti parte della loro famiglia; intorno al suo letto c’erano i suoi cari, per cui si era tanto spesa e che aveva avvolto con il suo amore, e c’eravamo alcune di noi della comunità, che l’avevamo sempre accompagnata e sostenuta negli anni.

Si sono uniti a noi per questo momento semplice e solenne anche il personale, che era stato tanto colpito dalla bontà e gentilezza di Nadia: gli operatori, la caposala, i medici, la suora indiana che la seguiva ogni giorno… Era come se Nadia avesse portato al suo letto tutta l’umanità.

Don Mario, sacerdote della struttura che la ospitava, durante la preghiera ha benedetto la sua fronte perché la sua mente ha pensato cose belle, e ha benedetto le sue mani perché hanno fatto cose buone. Quella stessa notte Nadia ci ha lasciato».

Maria Giovanna racconta:

«Il 21 agosto al funerale di Nadia ha cantato il coro di cui fa parte il figlio Mirko.                                                                               In quell’occasione il celebrante, don Francesco, segretario del vescovo, ci ha fatto notare l’intensità e la coincidenza, in quel commiato da Nadia, delle parole del salmo: Non temerei alcun male, perché Tu sei con me, aggiungendo che così era stato per Nadia, che si era sempre fidata della presenza del Signore nella sua vita.

Ho ripensato a lei quando mi aveva confidato che traeva forza e speranza dal colloquio continuo con quel Crocifisso che teneva in camera. Lei, rimasta sola a sostenere la famiglia, aveva trovato un Alleato grande e fedele.

È stata per me una certezza che tutto quel dolore non era stato vano: quel disegno che faticavamo a comprendere l’abbiamo riconosciuto ancor più alla fine, nella docilità e nell’abbandono fiducioso nelle braccia di Dio. Oggi che non ci sono più barriere, sappiamo di aver vicino questa compagna di viaggio, che  ci aiuta a camminare sereni, con semplicità e con più fede».

La famiglia

I famigliari condividono queste testimonianze con la compostezza che ci si aspetta e confermano. Nella sua vicenda riconoscono proprio le parole di san Paolo che meglio esprimono quanto hanno percepito di Nadia: «… è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno…».

Nadia si è fidata di Dio. Ha compiuto la sua buona e dura vita, donando sé stessa quanto più ha potuto, nelle prove e nelle gioie. Non si aspettava nulla da coloro che amava. Guardava fisso quel Gesù in croce che nulla ha preteso di più che fare la volontà del Padre.

«Era piccola di statura umana – osservano teneramente – ma la sua docilità e perseveranza nell’amore l’avranno sollevata fino alle braccia di Dio per coronarla della sua Misericordia. In comunione con quanti l’hanno conosciuta e amata, ringraziamo il Signore di avercela donata».

Anche questa è una storia di quotidiano, semplice eroismo.

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