Tensione indù-musulmana fra India e Bangladesh

Il radicalismo religioso e le conseguenze che porta con sé stanno progressivamente contaminando l’intero sub-continente indiano, provocando forti tensioni tra indù e musulmani sia in India che in Bangladesh
Attivisti indù bruciano le foto del premier del Bangladesh Yunus per chiedere il rilascio del sacerdote indù Chinmoy Krishna leader della comunità Krishna Das Prabhu. EPA/PIYAL ADHIKARY

Il Bangladesh, nonostante il progressivo diffondersi di una spinta islamista, era rimasto abbastanza al di fuori dalle tensioni radicaliste. Ma ora si trova a doverle affrontare nel momento in cui si avvia a formare un nuovo governo dopo la precipitosa fuga in India della sua presidente, Sheikh Hasina.

Lo stesso Muhammad Yunus, il premio Nobel a cui va il merito di aver congegnato l’applicazione del microcredito a livello rurale – e non solo –, scelto a furor di popolo dai bangladesi per guidare la transizione del Paese, comincia a navigare in acque piuttosto tumultuose.

Negli ultimi mesi, si manifesta sempre più un’intransigenza, spesso sfociata in atti violenti e discriminatori, nei confronti della comunità indù che vive in Bangladesh. La nazione è, dopo Indonesia, India e Pakistan, uno dei Paesi con popolazione musulmana superiore a 100 milioni, ma gli indù rimasti nel Paese, dopo la partizione fra India e Pakistan del 1947 e la guerra di indipendenza del 1971, raggiungono l’8% dei 175 milioni di Bangladesi.

Ovviamente si tratta di una percentuale limitata, ma significativa, all’interno di un Paese musulmano dove l’Islam, anche per via delle caratteristiche del popolo bengalese, non è mai stato né intransigente né tantomeno violento. Tuttavia, da vari decenni, anche in questo angolo del sub-continente si sono avvertite forti pressioni da parte del radicalismo religioso con conseguenze sociali e politiche. Soprattutto negli ultimi anni la comunità indù ha cominciato ad avvertire una certa discriminazione e non sono mancati attacchi violenti contro persone e proprietà. La fuga della presidente Hasina e il vuoto di potere che si è determinato, colmato temporaneamente con la nomina di Yunus come garante fino alle prossime elezioni, hanno ovviamente acuito il problema delle minoranze (compresa quella cristiana) e lasciato il campo più libero che in passato a episodi di violenza anti-indù in diverse parti del Paese.

Al centro delle controversie degli ultimi tempi c’è stato l’arresto di un giovane guru (swami) molto conosciuto all’interno della comunità indù, la cui fama e prestigio spirituale – e anche politico – sono cresciuti negli ultimi anni. Si chiama Chinmoy Krishna Das ed è un monaco vishnuita che segue lo spirito dell’International Society for Krishna Consciousness (Iskcon). Presiede l’ashram di Pundarik Dham nei pressi della città di Chittagong ed ha dato vita al Bangladesh Sommilito Sanatan Jagaran Jot, una organizzazione che si propone di difendere la minoranza indù in Bangladesh. Recentemente questo monaco è stato arrestato con l’accusa di sedizione e, soprattutto, è stata respinta dal tribunale competente la sua richiesta di libertà su cauzione. La notizia ha suscitato tensioni sociali non indifferenti con proteste da parte degli indù e scontri con danni a persone e proprietà.

L’India, dove il governo nazionalista indù di Narendra Modi da tempo monitora la situazione all’interno del Bangladesh, ha decisamente alzato la guardia con accuse di atteggiamenti anti-induisti e di una crescente ondata discriminatoria nei confronti di chi non è musulmano. Un noto settimanale indiano ha pubblicato a caratteri cubitali alcune cifre che, se vere, possono essere foriere di vera preoccupazione. Secondo questo organo di stampa – per altro sempre ben documentato – negli ultimi tempi ci sarebbero stati più di duemila incidenti di natura religiosa, 69 attacchi a luoghi di culto indù, atrocità nei confronti di persone, fra le quali anche donne, con il successivo arresto di 70 indiziati.

D’altra parte, negli ultimi anni il premier indiano Modi ha via via realizzato politiche sempre più chiaramente antimusulmane, anche nei confronti di migranti o rifugiati provenienti da Paesi vicini (Pakistan, Afghanistan e Bangladesh). La questione, dunque, non è solo interna al Bangladesh, e rischia di contribuire a esacerbare le tensioni fra comunità religiose – soprattutto indù e musulmani – nell’intero sub-continente indiano. Oltre alle dichiarazioni ufficiali, la preoccupazione di Delhi riguardo alla situazione è emersa dalla recente visita di Vikram Misri, sottosegretario del ministero degli Esteri indiano, al suo parigrado a Dacca.

La questione non è ovviamente solo religiosa e sociale. L’aspetto economico non è indifferente, visti gli interessi del governo e dell’industria indiana in Bangladesh. A Delhi c’è inoltre la preoccupazione, mai espressa ma evidente a chi conosce gli equilibri della zona geopolitica, del ruolo che la Cina potrebbe giocare se dovesse entrare come alleato delle attuali autorità di Dacca, che non hanno un vero potere politico ma restano garanti di una successione dei poteri che tutti sperano avvenga presto e in modo positivo.

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