L’antieroismo di Vincenzo Malinconico su Rai1

Dalla penna di Diego De Silva ha preso il via la serie che ha per protagonista un "avvocato di insuccesso", che trascina il pubblico nelle sue vicende che parlano di precarietà, ma vissute in modo autentico, al di là degli stereotipi
ph Rai.it

Vincenzo Malinconico è tornato, per nulla cambiato rispetto alla stagione precedente. Lo ritroviamo su Rai1, la domenica in prima serata, con lo stesso sottotitolo: “avvocato di insuccesso”, e la stessa, convincente, interpretazione di Massimiliano Gallo. Vive nelle strade, nelle bellezze e nel tribunale di Salerno, con la rinnovata indole dell’antieroe dal cuore grande, con movenze e pensiero vagamente alieni, se rapportati al rampantismo narcisista dei nostri tempi.

La sua identità potrebbe essere la terra delle contraddizioni. Perché è simpatico, Vincenzo, e divertente. Anche se svagato, assopito e per alcuni depresso, perdente. Perché è sospeso in tutto, precario, instabile. Nel lavoro e negli affetti. È ironico, e anche saggio, però, in qualche modo filosofo della porta accanto. Se stimolato, altrimenti no. È se stesso, verosimile proprio in questi zampilli multicolore, tendente all’umano più che allo stereotipo, col quale gioca divertito. Una cosa non possiamo negare: che tenga agli altri, soprattutto ai più fragili, come accade all’alba di questa nuova stagione, quando aiuta una ragazza che per dare il necessario a sua figlia lavora come escort. Malinconico la tira fuori da una vita mesta, senza sbocchi, anche se nel finale la ragazza muore in circostanze misteriose, per cause non naturali, e da qui riparte la trama orizzontale delle prossime puntate. Al di là del caso poliziesco giudiziario, tuttavia, a rendere saporito questo uomo di legge sui generis, civilista a mezzo servizio, è proprio il distacco, per certi versi sano, da una certa porzione di realtà: quella del superfluo, del non essenziale, dell’arrivismo, perché dove serve, quando serve, eccola che emerge la sua sapienza di fondo. Per esempio, la ragazza della prima puntata lo paragona al pescatore di Fabrizio De Andrè, dopo che lui gliene ha parlato. Dopo che le ha raccontato la storia di quest’uomo che non giudica il prossimo, ma semplicemente gli offre quel che serve quando il fuggiasco dice: “Ho sete, ho fame”. La ragazza, allora, replica: “Sembra una parabola evangelica”. E  Malinconico: “Non è un caso che De Andrè abbia chiamato il figlio Cristiano”. La donna, più avanti nell’episodio, lascia scritto in una lettera, riferito a Malinconico: “Quel pescatore sei tu”. Forse sta celato in questo scambio di parole, la chiave per definire, cogliere, Vincenzo. Del resto, i dialoghi di questa variazione sul genere crime/giudiziario/poliziesco sono spesso brillanti, anche perché la serie è tratta dalla penna di Diego De Silva. Si gioca coi cliché, a partire dalla campanietà solare e gustosa, rimescolando quelli pubblici e privati: la relazione con l’ex moglie Nives (brava Teresa Saponangelo) che sembra volerlo riconquistare, il rapporto coi due figli, quello naturale e quella acquisita. Amati entrambi. A modo suo, malinconicamente, con accorate, persino tenere, imperfezioni, imbevuto delle complessità, tra le quali nuota con le bracciate di un uomo comune. Col dono, però, di saper cogliere, a volte, della vita, certi aspetti poetici. Il che rende lui, e di conseguenza, questa serie dalla regia superiore a molte altre (c’è la mano di Luca Miniero) un prodotto dalle sfumature originali meritevoli di attenzioni. Vincenzo Malinconico, partita il 1 dicembre, andrà avanti con 4 episodi da cento minuti l’uno. Sempre al tramonto del weekend. 

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