Terra Santa, il preludio della fine dell’umanità

A Gaza è in corso la guerra di Hamas o la difesa di Israele? La risposta a questa domanda dipende dall’informazione che si ha a disposizione. In un mondo di ideologie contrapposte, la verità appare come un evidente complotto del nemico.
Un manifestante che sostiene le famiglie degli ostaggi israeliani tenuti da Hamas a Gaza, tiene un cartello con la scritta "impeachment now" fuori dalla residenza del primo ministro Benjamin Netanyahu a Gerusalemme. Foto Ansa, EPA/ABIR SULTAN

Domenica 1° dicembre è apparsa sul web del New York Times (nytimes.com) un’intervista a Moshe Ya’alon, in cui l’ex ministro accusa il governo e l’esercito israeliano di «occupare, annettere e fare pulizia etnica» nella zona settentrionale della Striscia di Gaza, aggiungendo: «Stanno di fatto ripulendo il territorio dagli arabi» per stabilire insediamenti stabili ebraici.

Il 74enne Moshe Ya’alon non è affatto un israeliano di sinistra, anzi è stato in passato membro del Likud, il partito di Netanyahu, poi fondatore di una formazione politica di centro-destra (Telem) e deputato alla Knesset, ma soprattutto è un militare, ex Capo di stato maggiore generale dell’Idf (l’esercito israeliano) e Ministro della difesa dal 2013 al 2016 (governo Netanyahu III e IV). Non è affatto una colomba, insomma. Netanyahu non ha evidentemente potuto come al solito stigmatizzarlo come antisemita, dato il profilo del personaggio. Si è limitato a dire che le accuse di Ya’alon «colpiscono Israele e aiutano i suoi nemici».

Insomma, parafrasando la canzone di Gavroche (I Miserabili): “se a Gaza sono arabi la colpa è di Moshé, se hanno fame a Jabalya la colpa è di Hamas”.

Ma c’è un aspetto che mi ha particolarmente inquietato in questa vicenda: Moshe Ya’alon ha espresso le sue opinioni fortemente critiche sul governo attraverso un famoso quotidiano statunitense. Ritengo che l’abbia fatto perché i media israeliani non gli avrebbero probabilmente dato spazio per esprimere dissenso e accuse che, come ha detto lo stesso Ya’alon in un passaggio dell’intervista, sono condivise da numerosi ufficiali delle Idf. E la censura dei media israeliani non transige su tutto ciò che si riferisce all’esercito.

Esercito a parte, l’informazione sulla guerra è certamente controllata in Israele, ma non necessariamente da un tenebroso Minculpop che emana “veline” su cosa dire o non dire. Forse è qualcosa più nello spirito della storica dichiarazione di Mussolini ai giornalisti del 10 ottobre 1928: «Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime: è libero perché, nell’ambito delle leggi del regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione».

Un interessante editoriale sul tema dell’informazione e dei media in Israele pubblicato da ilpost.it il 30 novembre scorso (In Israele Haaretz racconta un’altra storia) cita la traduzione di un brano di Gideon Levy (uno dei più famosi opinionisti delllo storico quotidiano della sinistra israeliana, Haaretz) tratto dal suo ultimo libro, The Killing of Gaza: Reports on a Catastrophe (Verso Books, ottobre 2024): «Senza l’occultamento sistematico, durato per decenni, e la deumanizzazione [dei palestinesi, ndr], forse l’opinione pubblica israeliana si sarebbe opposta più decisamente a quello che sta succedendo. Ma se non dici niente, se non mostri niente, se non sai niente e non hai nessun desiderio di sapere, se i palestinesi non sono davvero umani – non come noi, gli israeliani – allora il crimine commesso contro di loro è più sopportabile, può essere tollerato. Il 7 ottobre ha portato tutto questo a nuove vette. I media israeliani non hanno mostrato quasi niente di quello che stava avvenendo a Gaza, e gli israeliani hanno visto soltanto la propria sofferenza, ancora e ancora, come se fosse l’unica sofferenza esistente. Quando a Gaza ci sono state più di 25 mila persone uccise in meno di quattro mesi, in maggioranza civili innocenti, in Israele non c’è stato nessuno shock».

Lo shock lo ha invece avuto una pediatra statunitense specializzata in terapia intensiva e medico istruttore per Medici senza Frontiere, che ha parlato all’Onu in occasione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese (29 novembre 2024). Si tratta di Tanya Haj-Hassan, che ha prestato servizio volontario a Gaza nell’ultimo anno. La sua testimonianza e le sue lacrime si possono trovare ovunque sul web.

«Là ho visto il preludio della fine dell’umanità», ha detto. Ed ha aggiunto: «Il precedente che si è creato a Gaza si diffonderà ovunque nel mondo, simbolo della scomparsa dello stato di diritto. Se la solidarietà con i vostri simili non è una ragione valida per agire, pensate a come questa cosa potrebbe diffondersi. Dovrebbe essere spaventoso per chiunque». Ed ha concluso il suo intervento con una domanda inquietante: «Cosa stiamo rischiando?».

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